Regia di William Wyler vedi scheda film
CICLO - IL CINEMA DELLA SOLITUDINE SENTIMENTALE - INCEL, FEMCEL ED ALTRI SOFFERENTI PER AMORE
1# L'EREDITIERA DI WILLIAM WYLER (1949): LA PRIMA FEMCEL
"New York, 1850. Caterina, una ricca ereditiera orfana di madre, dolce di carattere ma non eccessivamente attraente, conosce a un ballo Morris Towsend, bel giovane, disinvolto e gentile. I due si innamorano, ma il padre di lei, intuendo che l'interesse del ragazzo è volto unicamente ai suoi soldi, si oppone fermamente con la scusa di volerla proteggere. Si scatenerrano una serie di avvenimenti distruttivi per il suo rapporto con la figlia e della visione di quest'ultima degli uomini"
La solitudine sentimentale è una condizione oramai sempre più diffusa nella società umana. Il numero di persone non in grado di riuscire a trovare una partner seppur lo desiderino, sono in costante aumento negli ultimi anni. Questo causa in costoro una grande frustrazioni, per via dell'incapacità di soddisfare naturali pulsioni biologiche quanto problematiche psicologiche dal punto di vista della capacità affettiva e per scarsa considerazione sociale.Le parole per riferirsi al maschio "Incel" (acronimo per "celibe involontario") e al corrispettivo femminile "Femcel", sono sempre più sdoganati a livello terminologico - ironia della sorte è stata una donna di nome "Alana" ad aver coniato il termine su un sito da lei creato nel 1997 -. Il cinema nel corso della propria esistenza, sino ad arrivare anche a tempi recenti, è sempre risultato sordo a tali problematiche.
Questo perchè bene o male ad una certa età, anche i meno avvenenti da ambo i sessi, a causa di pressioni e combinazioni familiari, finivano per trovare la loro dolce metà.
Ad una attenta ricerca, si riscontra una sconcertante carenza di pellicole su tali tematiche. Forse dovuto al fatto, che sia sempre mancato un pubblico di riferimento per le opere sulla solitudine, in quanto la stra-grande maggioranza era o coniugata o comunque aveva avuto esperienze sessuali.
Non ha di certo aiutato il fatto che la gran parte dei melodrammi e commedie romantiche, fossero produzioni di Hollywood. Il lieto fine è un patto sacro da non tradire mai nei confronti degli spettatori, come affermato da Robert Altman nei "Protagonisti" (1992). Quindi non deve stupire, che seppur in molti casi si sia assistiti a storie di personaggi adulti o adolescenti perennemente "single", alla fine riuscissero ad arrivare all'agognata meta, con grande felicità sia pubblico che della produzione, intenta a contare gli incassi per aver dispensato un paio di ore di gioia.
L'ereditiera (1949): Miriam Hopkins, Montgomery Clift, Olivia de Havilland
L'estetica ad Hollywood ha dettato legge nelle scelte dei modelli, ma stranamente invece si è quasi sempre negato tale elemento quando si sono costruite dinamiche maschio-femmina. Poca avvenenza da parte di uno dei due, differenza di età marcata tra i due attori o l'uso del make up per "mascherare" il bello in brutto, che magicamente diventa un cigno con due ritocchi al look - solitamente il taglio di capelli e la rimozione degli occhiali da vista -. Tutti hanno quindi diritto ad una conclusione positiva grazie al potere della sceneggiatur... pardon! Volevo dire dell'amore! L'involucro-corpo viene rinnegato da un'industria, che ha costruito le propria fondamenta sulla bellezza, lasciando spazio alle qualità interiori; gentilezza, dolcezza, simpatia, onestà d'animo ed ovviamente essere sé stessi. Aggettivi qualificativi, ma non attributi in sé di personalità o identificativi del carattere di una persona. Ma bastava possedere ciò, per conquistare non si sa come donne stupende (e viceversa), anche se si era in un possesso di un fisico oggettivamente non avvenente.
Per imbastire un ciclo tematico di vasta portata attorno al "Cinema della Solitudine Sentimentale - Incel, Femcel ed altri Sofferenti Per Amore”, ha aiutato in parte il libro di recente pubblicazione "Incel in una Stanza - Il Cinema dei Maschi Brutti, Soli e Cattivi" di Martidonna e Moretti (2025 - Shatter Edizioni). Esso si pone come prima opera in lingua italiana, attorno al legame tra la settima arte ed il mondo complesso della "manosfera" (nessuna trattazione viene fatta sulle "Femcel", declinando il saggio solo al maschile). L'indagine dei due autori, seppur lodevole, purtroppo risulta un pò lacunosa, in quanto presentano una visione un pò distorta "dell'Incel" - identificato in un tutt'uno con il sistema della "Redpill" in merito ai tre criteri di selezione sessuale femminile "Look", “Money” e “Status", de-privando di qualsiasi importanza l'elemento carattere -, ma soprattutto sembra utilizzare tale termine in una connotazione prettamente "ideologica" appartenente ad una subcultura online, quando in realtà l'essere "Incel" - come affermato da Marco Crepaldi, il più esperto psicologo in Italia sulla materia -, risulta essere una "condizione" propria di chi non riuscendo a trovare una partner femminile, finisce con il sviluppare una forte sofferenza psicologica - dovuta a fattori interni e di matrice esterna sociale -. L'Italia secondo uno studio è il quarto paese d'Europa per numero di "Incel", il che deve far riflettere sulla portata di un fenomeno oramai macrosociale e non più relegabile a pochi individui sbandati.
L'ereditiera (1949): Montgomery Clift, Miriam Hopkins, Ralph Richardson, Olivia de Havilland
Chi scrive, ha svolto un'attività di ricerca personale, andando oltre la selezione interessante - ma insoddisfacente - effettuata da tale pubblicazione, in cui sono essenzialmente riportate tutte opere dal 2010 in poi, escluso "Taxi Driver" di Martin Scorsese (1976). Si è decisamente scavato a fondo tra numerose pellicole del passato alla ricerca di film, che contenessero in potenza tali tematiche e le trattassero in con un'indagine alla Tacito "sine ira et studio".
La sofferenza sentimentale al cinema - incredibile a dirsi viste le statistiche odierne -, ha riguardato inizialmente la figura femminile, in quanto storicamente mero oggetto delle attenzioni del maschio, che poi doveva ottenere l'assenso del padre di lei. Il giansenista della messa in scena William Wyler, attraverso il suo cinema dall'occhio democratico per l'uso neutrale della profondità di campo, si può ritenere a buon ragione il primo cineasta a trasporre sul grande schermo, una figura vittima della solitudine sentimentale, con caratteristiche vicine a quelle di una moderna "femcel". Autore di numerosi film di derivazione teatrale - seppur qui la fonte di partenza risulti duplice, in quanto al tempo stesso trasposizione dell'omonima "piece", la cui origine risiede nell'opera letteraria "Washington Square" di Henry James - , nell'impianto da palcoscenico, il regista vi innesta la sua grande abilità nel dirigere gli attori - Olivia De Havilland, Montgomery Clift, Ralph Richardson e Miriam Hopkins si sfidano in una grande gara recitativa - e al tempo stesso un profondo lavoro sulla psicologia dei caratteri umani. Il cinema di Wyler così non diviene mai teatro filmato, in quanto sfrutta i longtake ed i posizionamenti accurati della macchina da presa, in una precisa ottica di fine caratterizzazione dei personaggi, pur adoperando pochi primi piani o inquadrature di dettaglio. Etichettata in modo denigratorio come "invisibile" dai critici dei Cahiers du cinema negli anni 50' -, la regia nei campi medi si esalta nella sua non presenza, plasmando l'immagine in modo naturale attraverso le scenografie, costumi e gestualità degli attori, in modo da chiarire con celerità il contesto sociale ed emotivo della vicenda narrata.
L'ereditiera (1949): Montgomery Clift, Miriam Hopkins
Catherine (Olivia de Havilland), si rapporta al mondo attraverso la sua insicura goffaggine. La donna cerca sempre di appartarsi mantenendo le distanze, frapponendo le mani in una "barriera" fisica che poi è emotiva tra lei e gli altri soggetti. Wyler si focalizza sui gesti di micro-dettaglio come il non riuscire a tener ferma tra le proprie dita la penna impugnata, per segnare sull'agenda i cavalieri del "ballo", sotto lo sguardo divertito del giovane affasciante Morris Towsend (Montgomery Clift). Catherine non è una donna di avvenente bellezza.
Nonostante l'educazione ricevuta, è incapace di mettere a frutto le conoscenze comportamentali. Questo ha portato di fatto a condurre un'esistenza appartata in casa, riducendo al minimo indispensabile i contatti sociali. Le mura della casa sono una "rassicurante prigione" ed il tavolo da cucito una “pena” quotidiana. Proprio all'interno del suo nido si consuma invece la peggiore delle sciagure; un padre freddo e severo, incapace di dimostrare amore ed affetto per la figlia. Il dottor Austin Sloper (Ralph Richardson), cura il rapporto con Catherine, come se fosse una paziente sottoposta ad un'operazione chirurgica, evidenziandone in modo impietoso tutti i difetti, in comparazione con la perfezione della defunta moglie. Ma ella è un ricordo. Quindi il confronto non può che veder sconfitta sempre in partenza una figlia, di fatto privata da chi le dovrebbe essere più caro di una qualsiasi autostima, perchè carente di quei "feedback" necessari, atti a sviluppare una personalità socialmente interessante.
"Le gioie d'amore non duran che un momento, le pene d'amore durano invece tutta la vita", in questa canzone cantatale da Towsend, c'è tutto lo stato d'animo quasi fanciullesco di una Catherine su di giri, in quanto per la prima volta considerata da un potenziale pretendente.
L'ereditiera (1949): Ralph Richardson, Olivia de Havilland
Grazie al potere dei sentimenti, Catherine matura una personalità decisamente più forte capace di sviluppare un suo "Io", contrapposto all'indole decisamente "tossica" di un padre subdolo e manipolatore nei suoi confronti, molto più di quanto i fatti dicano lo stesso per Towsend.
Austin è un padrone che rischia di veder sottratta la propria creatura da un giovane, a cui si oppone strenuamente dietro l'accusa di essere un mero "cacciatore di dote" - in effetti l'uomo è nullatenente e privo di risorse economiche -, ma in realtà teme di veder svanire la marionetta, di cui ha abusato psicologicamente per lunghi anni.
"Tu che sei mio padre, non passerai per presuntuoso se mi loderai un tantino" dice Catherine, parlando la lingua della dolcezza e dell'idealizzazione romantica. Tutto l'opposto l'affermazione del padre "E' davvero difficile proteggere una vittima così passiva", tradendo la sua doppiezza di atteggiamenti verso la figlia, in quanto a suo dire non si muore per un amore negato.
Avere una relazione non è un obbligo, come enunciato da sempre più persone al giorno d'oggi, eppure senza di esso la qualità dell'esistenza non risulta essere un granché. Si và avanti, però è più un sopravvivere che un vivere.
"Se devo comprare un uomo, preferisco comprare Morris" grida Catherine nel duro confronto finale con il genitore. In questo urlo di dolore, c'è tutta l'emotività razionale di una donna che abbraccia il sistema di una proto-Redpill in chiave femminile. Il requisito dei "Money" (Disponibilità economica), dovuto alla ricca rendita annua, può compensare di gran lunga il suo "Look" (Aspetto fisico) e "Status" (Considerazione Sociale) carente.
Quando i sentimenti non vengono appagati, si finisce con il mancare tappe di sviluppo psicologico decisive per l'individuo, il quale matura disfunzioni emotive in conseguenza dell'adattamento del corpo allo stato psicologico. Catherine diventa come e forse peggio del padre. La tela della vendetta tessuta con rancorosa cura della donna, sarà spietata nei confronti dei due uomini importanti nella sua esistenza. Un contrappasso glaciale, implosivo e non distruttivo. Il proprio cuore viene chiuso al mondo, lasciando posto ad una donna composta di sé, sancendo la morte della "ragazzina" che un tempo saliva di corsa le scale della residenza familiare con aria felice.
L'ereditiera (1949): Montgomery Clift, Olivia de Havilland
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