Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Verdone divenne qui un regista maturo, e sfornò una buona pellicola. Peccato che poi non si sarebbe mantenuto proprio su questo livello, così felicemente raggiunto.
Secondo me è il migliore film di Verdone assieme a “Un sacco bello”; se quello è cinematograficamente più rozzo, ma forse un po' più sottile e intelligente come contenuto, questo è artisticamente più maturo, con solo qualche smagliatura in alcuni passi.
Dal punto di vista della narrazione, è una pellicola molto varia e ricca di avvenimenti, che però fluiscono senza scossoni, servendosi di snodi narrativi e colpi di scena sempre verosimili e mai gratuiti. Anche le diverse ambientazioni (Spoleto, Budapest, Brighton) non stonano affatto e si inseriscono senza urti.
L'elemento migliore del film, tuttavia, sono i personaggi e la loro definizione, a partire dalla sorella. Finisce per essere lei la protagonista del film, e forse mette un po' in ombra il suo comprimario. Credo che questi abbia acconsentito a ciò di buon grado, e si sia messo coscientemente mezzo metro da parte come attore. Sono spesso piccoli gesti di umiltà che permettono a certe pellicole di funzionare e riuscire. Anche personaggi collaterali, come l'avvocato e il marito separato, sono scritti con sapienza e verosimiglianza.
Al centro, dunque, c'è il personaggio della sorella. È una donna dalla vita disordinata e caotica, perché la sua regola è l'impulso del momento, il fuggire le responsabilità e le situazioni sgradevoli, e il cogliere al volo quelle che sembrano occasioni, ma sono solo fuochi di paglia. E naturalmente, fare debiti senza pagarli. Il personaggio della Muti è una ex-bambina viziata, che vuole tutti al proprio servizio, e ritiene che i suoi desideri vengano prima di tutto. La defunta madre è evidentemente almeno in parte responsabile, perché con la sua richiesta al fratello di occuparsi di lei, da una parte vuole che la figlia venga sostanzialmente assecondata, dall'altra rivela che ciò è quello che si è sempre fatto con lei. In tal modo, non l'hanno costretta a maturare e a diventare una persona responsabile. E il fratello finisce per perpetrare questa dinamica fallace: corre a riparare tutti i disastri che la sorella semina in giro per il mondo, e sostanzialmente ne è succube. Accenna a ribellarsi e a farla, per una volta, subire le conseguenze delle sue azioni, ma poi finisce sempre per cedere e per pararle i colpi.
Io ho conosciuto una situazione molto simile nella realtà, con l'unica differenza che si trattava di fratelli uomini, e dove la defunta madre portava due quintali di responsabilità.
Un'altra carta vincente del film è la scelta del registro: amarognolo, malinconico, dolce, e leggermente umoristico in certi passi. Non è un equilibrio facile, specie per un cineasta che era nato comico teatrale come Verdone. Le non molte scene comiche del film sono riuscite, e riescono a non cadere nella farsa, aiutate da una recitazione mai sopra le righe (imparate nuovi comici, imparate). Mi riferisco, ad esempio, alla scena della lampada del giudice ungherese, e a quella all'aeroporto, con Verdone che deve smacchiarsi la camicia nelle condizioni meno opportune possibili. Ma sono indovinati anche certi tratti ironici dei dialoghi, che producono una comicità malinconica e minimalista. In generale, la pellicola lascia in bocca un sapore agrodolce.
L'unico passo che non mi ha convinto è dove Verdone fa il l'uomo italiano che soddisfa un'infermiera ungherese, desiderosa di prendere fuoco a letto. Non quando lei lo lusinga per attirare l'attenzione su di sé, ma proprio nell'episodio notturno all'orfanotrofio.
Tuttavia, ciò è un piccolo difetto, e questo rimane un buon film, evidentemente merito anche del co-sceneggiatore Leo Benvenuti, scafato scrittore di cinema. Ed è anche una conferma del fatto che per la riuscita di una pellicola ci vogliono una sceneggiatura e personaggi convincenti.
Menzione d'onore anche per la Ricci, che si sarebbe poi molto sprecata nella piatta fiction televisiva.
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