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Manhunter - Frammenti di un omicidio

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Manhunter - Frammenti di un omicidio

di DeathCross
9 stelle
Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo "Manhunter", prima trasposizione di "Red Dragon" di Thomas Harris e, quindi, anche prima pellicola dove troviamo l'Iconico dottor Lecter (qui Lecktor): da un lato c'era il legame affettivo ormai consolidato con il più conosciuto "The Silence of the Lambs", mentre dall'altro c'era la fama di Cult 'nascosto' che attorniava il film di Mann.
 
Dopo averlo visto, devo dire che, pur continuando a prediligere il Film di Demme, "Manhunter" gli si avvicina moltissimo qualitativamente, tanto da poterli considerare allo stesso livello: due Capolavori del Thriller con due Hannibal Iconici, tanto da farmi sospettare che il Personaggio in questione sia una specie di Entità Metafisica in grado di ispirare qualsiasi attore a dare il meglio di sé, come dimostrano le successive ottime interpretazioni del giovane Ulliel in "Rising" o dell'ultimo televisivo di Mikkelsen. Tutti europei, ciascun attore ha infuso sfumature differenti e uniche al dottore psicopatico, rimanendo però fedeli ad alcuni elementi inscindibili, come la pettinatura rigorosamente all'indietro o la sensibilità Artistica.
Il Lecktor di Cox, rispetto all'imprevedibile Hopkins, presenta uno sguardo più vacuo, e la compostezza aristocratica lascia il campo ad un'atteggiamento più stravagante, ironico, a suo modo sfrontato. Molto forte è il legame con Graham, che anticipa il rapporto di doppelganger che caratterizzerà la coppia nella già citata (e straordinaria) serie tv e che risulta decisamente più credibile rispetto alla seconda trasposizione del romanzo, dove il rapporto tra Norton e Hopkins non convince pienamente lo spettatore/la spettatrice, forse perché ancora troppo forte era il legame tra lo stesso Hopkins e la Clarice Starling della Foster (il cui personaggio poco funziona quando sostituito dalla Moore nel non brutto ma sicuramente nemmeno buono "Hannibal" di Scott). A quanto pare, ogni Lecter può avere un solo (o una sola) alter ego, interpretato/a da un solo attore o da una sola attrice, altrimenti il Legame non funziona, si sfalda, si distrugge, perde Sostanza danneggiando inevitabilmente la riusciuta dell'opera.
Come accadeva nel romanzo originale (e, per certi versi, accadrà anche in "Silence"), il legame tra lo psichiatra nella gabbia color avorio (ma paradossalmente in una posizione di superiorità rispetto a Graham, che invece si trova costretto a fuggire da quel Bianco di Morte e Pazzia) e l'ex-investigatore, reintrappolato dal sempre ambiguo Crawford nel ruolo di indagatore delle Menti Malate, anche qui si frappone, comparendo solo dopo una buona metà della narrazione, un terzo personaggio, un altro serial killer ma in libertà e in azione, ovvero il Dolarhyde magnificamente interpretato da un Noonan calatissimo nella parte (successivamente anche Fiennes darà una buona prova, ma il rapporto attore-personaggio non sarà così profondo come in questo caso). In quanto 'oggetto d'indagine' del protagonista, Dolarhyde ne diventa il secondo alter-ego, una sorta di 'terzo lato' della medaglia, ma l'Amore (o la sua illusione) e, soprattutto, il senso di Accettazione che sperimenterà con Reba, la ragazza cieca, porterà Francis a staccarsi dal ruolo di assassino che si è costruito per poter essere finalmente sé stesso, un giovane sensibile e altruista, come lo definisce la ragazza. La cocente Sofferenza che proverà nel vedere la sua Amata tornare a casa accompagnata da un altro (magnifica la costruzione onirica e surreale, nell'uso dei colori, della scena, quasi a voler suggerire che il tradimento della ragazza sia in realtà frutto di una costruzione della mente instabile dell'anti-eroe) riuscirà solo superficialmente a far tornare il 'mostro' nei panni del serial killer in cerca di Potenza. Graham, al contrario, si calerà sempre più nel ruolo, nella maschera dell'eroe condannato a entrare nella mente e nella pelle degli assassini per doverli poi uccidere. Infatti, nel finale, se Dolarhyde non riuscirà ad uccidere la sua amata prorompendo in un pianto disperato, Graham si scontrerà in prima persona con l'assassino per poterlo uccidere e così placare la sua natura sanguinaria giustificandola con l'esigenza di fermare una serie di omicidi. Dolarhyde accetta sé stesso, mentre Will rifiuta di ammettere la propria natura, la propria somiglianza con l'odiato eppure rispettato dottor Lecktor (temi che risulteranno evidenti nella più volte citata serie tv).
 
Il duplice tema del doppio e dell'essenza viene sintetizzato concettualmente e artisticamente da Mann nel motivo del Riflesso: i protagonisti si trovano perennemente circondati da superfici speculari (specchi, ma anche pareti di vetro), trovandosi così a dover affrontare costantemente la propria immagine riflessa, anche quando cercano di guardare oltre. Ma ciò che veramente colpisce è la frequenza con cui i protagonisti, in particolare Graham, si rivolgono al proprio avversario parlando al proprio riflesso, come accade nella scena del bar, in cui Graham, parlando verso il vetro, si rivolge idealmente a Dolarhyde, ignorandone l'identità e identificandolo con la sua proiezione mentale. Un altro esempio è osservabile nel dialogo col dottor Leckter, dove i due personaggi sono divisi ma nel contempo uniti da una parete di vetro: questa intuizione verrà approfondita maestosamente da Demme nel successivo "Silence", dove giocando con i riflessi fa sì che Starling e Lecter siano entrambi sempre visibili durante i loro dialoghi; tornando al dialogo in "Manhunter", si vede come Graham non riesca ad accettare la sua Uguaglianza col dottore dandosi alla fuga, mentre Lecktor accetta rilassato e affascinato questa condizione di affinità. Infine, Dolarhyde cerca di combattere il dolore della non-accettazione che egli stesso, come descritto anche nel romanzo, si è costruito distruggendo gli specchi e sostituendoli agli occhi delle proprie vittime.
 
Il tema del riflesso porta ad un terzo tema, ovvero l'importanza che i tre protagonisti, e in particolare Dolarhyde, danno alla Vista (e in "Silence" proprio il concetto di 'vedere' è l'indizzo chiave grazie al quale Hannibal porterà Clarice alla soluzione del caso): il killer trova le sue vittime guardando i filmati che, per lavoro, deve visionare e montare; Graham cerca di vedere le prove che gli agenti, troppo razionali, dell'FBI non riescono a vedere; Lecktor chiede a Graham di fargli vedere le foto dei delitti per potergli dare una mano (e probabilmente per soddisfare anche la sua curiosità morbosa); Dolarhyde insiste affinché Lounds (il giornalista rapito) lo guardi e lo veda... Per questo motivo nel film moltissima importanza viene data nel Film ai colori e alle luci (con modalità che in certi momenti riportano alla mente il Capolavoro Argentiano "Suspiria") , in certe sequenze dominate dalle tonalità verdi con cui è scritto il titolo (come nell'angosciante finale) o dal blu elettrico (che domina nelle scene amorose),  annullando praticamente tutti gli altri colori e stimolando così nello/a spettatore/rice delle sensazioni molto simili a quelle trasmesse dai film muti (colorati spesso in modo monocromatico per evidenziare ambientazioni diurne/notturne, esterne/interne). Nell'attenzione rivolta all'aspetto visivo, il film sembra quasi costruire una riflessione interna sul Cinema, e la presenza di materiali 'mockumentaristici' potrebbe confermare questa interpretazione metacinematogrica (probabilmente forzata, ma personalmente a me intriga).
La Vista, però, si dimostrerà essere un senso fortemente ingannatore e fermo alla superficie della realtà: come spiegato (tra parentesi) sopra, gli occhi di Dolarhyde esasperano il rapporto tra Reba e l'altro uomo (in realtà limitato alla rimozione di un polline) trasformandolo in un bacio appassionati; la vista non basta a Graham per scovare l'assassino, poiché nelle cassette inizialmente lui cerca di scovare l'assassino osservando ciò che può vedere nei filmati, quando in realtà la soluzione sta non nell'oggetto ripreso ma nel soggetto che visiona... Non stupisce, quindi, che Reba, attraverso il tatto e l'udito, riesca a vedere il Lato più nascosto e quindi autentico di Francis, ovvero il suo lato Sensibe, laddove gli occhi dell'uomo lo portano a sottovalutarsi e a cercare di essere qualcosa che non è. Reba, però, vedendo il lato Buono e autentico dell'antagonista, non riesce a vederne il lato 'superficiale' ma pericoloso, ovvero il lato assassino; la sua cecità fisica le impedirà, inoltre,  di prevenire il quadretto che rigetterà nello sconforto il suo spasimante spingendolo a rapirla dopo aver ucciso il (presuno) rivale in Amore.
 
Concludendo (sperando di non esser stato troppo contorto), "Manhunter" è un Thriller che merita il suo status di Cult (e forse anche di capolavoro) assieme a "The Silence of the Lambs", e questo grazie alla sua notevole Forza Artistica, dove la storia, fedele nella lettera (a parte nel finale) al romanzo di Harris, viene messa però (giustamente) in secondo piano per lasciar posto al Cinema, graze all'eccellente sapienza registica di Mann, impeccabile tanto nella messa in scena quanto nella direzione degli attori e delle attrici, nello studio delle inquadrature e nell'accostamento sonoro (con musiche prepotentemente e squisitamente ottantiniane). Unica pecca, forse, la scelta dei vestiti di Graham, un violento pugno negli occhi (almeno nei miei). Però sono gli anni '80!
 
Da vedere se amate la saga di Hannibal Lecter, ma anche se non la conoscete così bene: in un caso o nell'altro, ci sono molti aspetti da scoprire che non potranno deludere, purché la propria mente sia libera da pregiudizi tipici di fan ciechi (tanto per restare in tema).
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