2 stagioni - 14 episodi vedi scheda serie
Save the Bees.
La principale differenza tra le due annate di “Feel Good” (un titolo, un programma), la serie creata, scritta (con Joe Hampson) e interpretata da Mae Martin (1987; “SAP”, “Wayward”) in un’autofiction semi-autobiografica che per “coraggio” ha poco da invidiare al coevo capolavoro di Michaela Coel, “I May Destroy You” (2020, BBC-HBO), col quale condivide anche una “resa dei conti” pre-finale con l’orco predatore (in questo caso anche “salvatore”), e che si conclude per l'appunto nel corso di due arcate narrative per volere dell’autrice (così come la capitale “Fleabag”, 2016-2019, di Phoebe Waller-Bridge) ognuna composta da sei episodi da poco più o qualcosa meno di mezz’ora l’uno, è che lungo l’intero svolgersi della prima bellissima stagione (2020, Channel 4, regìa di Ally Pankiw: “Black Mirror: Joan Is Awful”) non c’è, mai, un vero momento atto a scatenare una risata “di pancia” titillando l’asse cervello-intestino, mentre nella seconda (2021, Netflix, regìa di Luke Snellin: “Wanderlust”), uscita poco prima dell’extradiegetico intervento – non radicale e per ragioni mediche come nell’altrettant’ottima “One Mississippi” (2015-2017, Amazon) di Tig Notaro (anch’essa sviluppantesi in due blocchi - più un pilot -, ma in questo caso cancellata dal network/piattaforma per “ragioni” commerciali), ma per una questione di transizione FtN, da femmina a nonbinary/genderqueer (Ellen Page → Elliot Page; Liv Hewson → "Under My Skin" → Liv Hewson) – di mascolinizzazione del torace attraverso una parziale mastectomia bilaterale, all’inizio un pelo più surreale (e forse - ma non proprio per questo - solo un pochino meno bella) e poi via via più complessa e profonda stagione, invece, sì.
“She's like a dangerous Mary Poppins. I'm like Bart Simpson.”
“Why do some people need so much help just to exist, and then other people don't need any help at all?”
Accanto a Mae Martin (“Non sono un ragazzo. Non sono nemmeno una ragazza. Sono la versione fallita di entrambi!”), che per venire incontro agli inespressi desideri e aspettative della partner ad un certo punto – e se la cosa non fosse stata espressamente specificata lo spettatore se ne sarebbe accorto? – veste di androide nero e non indossa più i ginoidi colori, un piccolo gruppo di attori spaesatamente perfetti: dalla brava co-protagonista Charlotte Ritchie (“the Assessment”), la compagna Georgina, detta George, ad una fantastica Lisa Kudrow (“Friends”), la madre di Mae, passando per il comico e clownista Phil Burgers (“Tu, io e i vermi per l’eternità!”), coinquilino di George e futuro “figlio adottivo barra coinquilino” dei genitori di Mae, Sophie Thompson (Maggie, la sponsor di Mae), Ritu Arya (la figlia di Maggie), Adrian Lukis (il padre di Mae), Pippa Haywood (la madre di George), Anthony Head (il padre di George), Tobi Mamtefa (maestro di cerimonie del Gag Bin, il comedy club dove si esibisce regolarmente Mae) e John Ross Bowie, il Barry Kripke di “the Big Bang Theory” e il Jimmy DiMeo di “Speechless”, stakanovista del piccolo schermo e qui forse - vestente i panni di un Humbert Humbert “soft” - nel ruolo, seppur minuto, della vita. Tra le song spicca, ben utilizzata, “No Halo” di Kevin Morby.
Oh, I’m an alien, I’m a legal alien
I’m a canadian nonbinary/genderqueer in Manchester.
Post Scriptum. Molto carina la "Won't someone save these bees, those crazy, stinky bees?", ma Flo & Joan potrebbero rivendicarne i diritti...
(***¾) * * * * (¼)
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