Nel panorama del cinema d'autore, pochi film incarnano l'essenza di un'epoca e la disillusione di una generazione come La Maman et la Putain di Jean Eustache, proposto da Rai 3 la notte del 28 febbraio. Cinquant'anni dopo il Grand Prix vinto a Cannes nel 1973, il film La Maman et la Putain torna su Rai 3 in versione restaurata, pronto a scuotere ancora una volta il pubblico con la sua crudezza emotiva e il suo rigore formale. Non è solo un film, ma un manifesto intimo e disperato sulla condizione umana, sull'amore e sulla perdita.
La maman et la putain (1973): Jean-Pierre Léaud, Francoise Lebrun, Bernadette Lafont
Un triangolo amoroso tra introspezione e verità bruciante
La narrazione del film di Rai 3 La Maman et la Putain ruota attorno ad Alexandre (Jean-Pierre Léaud), un intellettuale dilettante e nullafacente che trascorre le giornate nei café di Saint-Germain-des-Près, immerso in conversazioni senza fine. Vive con Marie (Bernadette Lafont), una donna più grande di lui, che lo mantiene e lo tollera con un misto di affetto e rassegnazione. Ma la vita di Alexandre prende una svolta quando incontra Veronika (Françoise Lebrun), un’infermiera libera e disinibita, con cui intreccia una relazione parallela senza interrompere quella con Marie.
Questo triangolo amoroso si sviluppa attraverso dialoghi serrati e monologhi fiume, in cui i personaggi si confrontano senza filtri, rivelando le loro fragilità e le loro contraddizioni. La narrazione non si basa su eventi concreti, ma sul flusso delle parole, sulla tensione emotiva che si accumula fino a diventare insostenibile.
I personaggi: archetipi moderni tra tenerezza e disperazione
Alexandre, interpretato magistralmente da Jean-Pierre Léaud, è il fulcro del film La Maman et la Putain, che Rai 3 propone all’interno di Fuori Orario. Narcisista, logorroico e seducente, rappresenta la figura dell'intellettuale post-Mai '68, incapace di adattarsi alla realtà e di assumersi responsabilità. Le sue parole, spesso citazioni letterarie (da Baudelaire a Renoir), mascherano un vuoto esistenziale che si fa sempre più evidente man mano che il film avanza.
Marie, incarnata da Bernadette Lafont, è la "maman" del titolo. Forte, indipendente, ma vulnerabile nell'intimità, è consapevole della natura autodistruttiva del rapporto con Alexandre, ma vi si aggrappa per paura della solitudine.
Veronika, interpretata da Françoise Lebrun, è la "putain", non tanto nel senso letterale, quanto come figura di libertà sessuale e di sincerità brutale. I suoi monologhi, in particolare quello finale, sono il cuore pulsante del film, un grido di dolore e autenticità che sovverte ogni cliché romantico.
Lebrun ha raccontato che Eustache le fece ascoltare la voce della donna reale che aveva ispirato il suo personaggio, per catturarne la cadenza e la musicalità. Il risultato è un'interpretazione che travalica la recitazione per diventare una vera e propria confessione.
La maman et la putain (1973): Jean-Pierre Léaud, Bernadette Lafont
L’amore come possesso e la libertà come illusione
La Maman et la Putain non è solo un film sul triangolo amoroso, ma una riflessione cruda sulla difficoltà di amare e di essere amati in un'epoca di libertà apparente. Dopo il sogno rivoluzionario del '68, Eustache mostra i detriti emotivi lasciati dalla liberazione sessuale: il desiderio si confonde con il possesso, la libertà con la solitudine, l'amore con il disprezzo.
La parola è l'arma e la prigione dei personaggi. Alexandre parla per nascondere il proprio fallimento, Veronika per esorcizzare il dolore, Marie per difendere la propria dignità. Il linguaggio formale, il costante uso del "vous" anche nell'intimità, diventa uno scudo contro la vulnerabilità.
Il film affronta anche temi tabù per l'epoca, come l'aborto e la libertà sessuale femminile, suscitando scandalo a Cannes. Ingrid Bergman, presidente della giuria, non apprezzò il linguaggio crudo e la rappresentazione senza filtri delle relazioni moderne. Eppure, proprio questa onestà spietata ha reso il film un capolavoro senza tempo.
Cinema come verità e provocazione
La regia di Eustache è essenziale, quasi documentaristica. Lunghi piani sequenza, inquadrature fisse e fotografia in bianco e nero creano un'atmosfera claustrofobica, amplificando il senso di oppressione emotiva. La durata eccezionale del film (3 ore e 40 minuti) non è un vezzo stilistico, ma una scelta precisa: la lunghezza permette ai personaggi di esistere oltre la finzione, immergendo lo spettatore nel loro universo.
Il montaggio, curato dallo stesso Eustache, riflette il suo rifiuto delle convenzioni cinematografiche. Non ci sono ellissi temporali, la narrazione scorre come la vita reale, tra momenti di intensa drammaticità e pause di vuoto esistenziale.
Un film ancora vivo
A distanza di cinquant'anni, il film La Maman et la Putain, trasmesso da Rai 3, resta un'opera attuale. I temi dell'amore, della libertà e della solitudine continuano a risuonare, mentre la sincerità delle interpretazioni e la forza dei dialoghi mantengono intatta la loro potenza. Registi come Wim Wenders, Michael Haneke, Jane Campion e Gaspar Noé hanno riconosciuto il debito verso Eustache, considerandolo un maestro nella rappresentazione dell'intimità.
La recente restaurazione in 4K non è solo un tributo al passato, ma un invito a riscoprire un film che non ha mai smesso di interrogare lo spettatore. Come disse lo stesso Eustache: "La Maman et la Putain è il film che odio di più, perché mi mostra come ero, senza difese."
Oggi, quel ritratto senza compromessi continua a riflettere le nostre fragilità, rendendo il film non solo un capolavoro del passato, ma una lente attraverso cui osservare il presente.
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