
Qualche settimana fa è stato pubblicato sul sito di Cinecittà il documento che spiega e racconta strategia e modalità con cui verrà gestita la parte dei soldi provenienti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (per gli amici l'ormai noto PNRR) destinata allo sviluppo industriale di Cinecittà. Il PNRR è il documento generale che definisce le linee guida degli interventi con cui si intende sostenere l’Italia del dopo Covid e che indica abbastanza chiaramente quali saranno le aree in cui verranno utilizzati i fondi italiani stanziati dal NextGenerationEU, il piano europeo di aiuti agli stati maggiormente colpiti dalla pandemia.
La parte del PNRR che riguarda gli investimenti destinati alla cultura è inserita all'interno di un capitolo molto ampio denominato "Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura". Il totale del denaro stanziato per questo intero capitolo è di circa 50 miliardi di euro ma solo una piccola parte di questo denaro sarà realmente investito per sostenere e consolidare l'industria culturale come vorremmo intenderla da questa parti, quella che è uscita con le ossa più rotte dalla pandemia, anche perché non stava benissimo neanche prima, e cioè ad esempio i settori della musica, del cinema, dell'arte, dell'editoria.
Prima di tutto perché la matrice più profonda del piano di sostegno europeo, i motivi di base per cui i finanziamenti sono stati pensati, risiede in due macro temi sotto ai quali deve essere incastonato quasi qualsiasi investimento: la transizione ecologica e la transizione digitale. Oltre ad un generico largo ai giovani che fa sempre bella figura.
A livello istituzionale, inoltre, la cultura è da sempre associata principalmente al turismo, come se la cultura fosse, nella sostanza, un elemento accessorio del turismo, un patrimonio la cui valorizzazione è strumento dell'industria del turismo più che essere considerata industria a sé stante, con le sue logiche e le sue esigenze specifiche. Quella che hanno in mente i nostri gestori istituzionali è una cultura che esiste più nella sua dimensione di monumento che nella sua dimensione di organismo vivo che ha bisogno di nutrimento e energia.
E infatti questa è la voce Cultura che beneficerà di investimenti per circa sette miliardi di euro nei prossimi anni, molti dei quali saranno spesi per valorizzare siti storici e culturali, per la loro sicurezza e per la loro accessibilità, perché possano adeguatamente svolgere il loro compito di sostegno e valore aggiunto alle strutture più smaccatamente turistiche. Quelle da cui viene il cash, insomma, tipo l'Arena di Verona, il Rigoletto vestito bene, Celine Dion, mica i club dove vanno i ragazzetti a calpestare il cemento a suon di musica house. Mica i teatri off che stentano senza rinunciare a programmazioni azzardate e sperimentali, mica i cinema monosala che programmano il cinema d'autore e che avrebbero bisogno di una poderosa campagna per sostenere e eventualmente anche creare la domanda di cinema di qualità.
Lo so che molti di voi sobbalzeranno di fronte a questo concetto della creazione della domanda ma, sempre guardando come verranno spesi i soldi del PNRR, ho scoperto che per lanciare la banda ultra-larga in alcune zone italiane, insieme a tutti i costi strutturali sono stati previsti soldi anche per sostenere la domanda, se non è un'eresia per la banda ultra larga perché dovrebbe esserlo per il consumo di cultura?
Sul sito italiadomani.gov.it infatti c'è una funzione molto utile che permette non solo di navigare all'interno della voce investimenti e di tutte le categorie in cui il PNRR è diviso, ma anche di fare delle ricerche mirate sulla base di parole chiave per sapere velocemente se un determinato settore beneficerà dei fondi nazionali. Ho fatto la ricerca con parola chiave cinema ed ecco i risultati.
Ci sono solo due progetti. Il primo si chiama "Migliorare l'efficienza energetica di cinema, teatri e musei" con un costo totale di 300 milioni di euro. Naturalmente, ironia della sorte, ne potranno beneficiare solo gli esercizi che hanno ancora energie da spendere dopo la catastrofe di questi ultimi due anni, ma mi chiedo anche: è proprio questa la migliore utilizzazione possibile del Recovery Plan? Cosa recuperiamo esattamente?
Il secondo progetto invece si intitola "Sviluppo industria cinematografica (Progetto Cinecittà)" e ha anch'esso un costo totale di 300 milioni di euro. Dopo aver fatto questa ricerca mi sono ricordato di aver letto la notizia della pubblicazione del documento strategico dei progetto Cinecittà e così me lo sono andato a cercare sul sito di Cinecittà. Il documento si può scaricare qui e lo metto a disposizione di tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, possono essere interessati a capire a quale iniziativa sia destinato il 50% degli investimenti totali per il settore cinema del nostro PNRR.
In sostanza il progetto parte dalla premessa che ci sarebbe una "poderosa domanda di contenuti audiovisivi" alla quale Cinecittà non è in grado di rispondere perché i teatri di posa sono stati concepiti per un'idea di cinema che risale al 1937 e quindi non adeguati alla domanda delle "grandi produzioni, delle piattaforme globali e della fiction seriale". Una opportunità che Cinecittà potrebbe e vorrebbe intercettare ma naturalmente per fare ciò sono necessari sia lavori di ampliamento e ammodernamento dei teatri attuali, sia la costruzione di teatri nuovi e tecnologici, sia l'acquisizione di un terreno (di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti) di 35 ettari. Si tratta di una grande area all'aperto che permetterebbe finalmente di effettuare le riprese in esterno colmando "un gap con i competitor continentali e dotando gli Studios di una capacità ambientale unica, considerando anche il fattore climatico favorevole del nostro Paese". Integra il piano quinquennale l'immancabile e onnipresente transizione al digitale con le seguenti voci: completare la digitalizzazione dell’archivio cinematografico e fotografico secondo il piano straordinario proposto nel Recovery Plan, assicurare la conservazione dei supporti analogici e ampliare l’accesso ai contenuti valutando nuovi modalità di fruizione, media, oltre a iniziative di formazione, documentari e mostre.
Il documento include anche un business plan dal quale emerge che questi investimenti porteranno il fatturato annuale delle attività commerciali di Cinecittà dai 17 milioni di euro del 2019 (pre-pandemia) ai 45 milioni di euro del 2026 e il risultato netto da 566.000 euro del 2019 a circa 4 milioni e mezzo di euro del 2026. Stiamo parlando in sostanza di un piano industriale che prevede investimenti per 300 milioni di euro che hanno un riflesso piuttosto moderato sul fatturato, una redditività al limite del residuale rispetto all'investimento e soprattutto introduce un concetto contabile davvero seccante agli occhi di tanti imprenditori normali, visto che la quota di ammortamento evidenziata nel suddetto documento (ossia quella voce che annualmente dovrebbe tradurre una quota degli investimenti realizzati in costi che forzatamente determinano il risultato finale di un'azienda) NON include gli investimenti coperti da contributi. È comodo progettare piani strategici lungimiranti in nome dell'eccellenza culturale italiana potendo contare su un capitale a fondo perduto e senza fare i conti con gli ammortamenti, quando tante imprese normali, quelle che davvero si sforzano tutti i giorni di alzare la serranda e accendere il proiettore per quattro spettatori, hanno l'orizzonte di un mese e non proiettato al 2026.
Questi sono i due progetti che rappresentano il 100% dell'impiego sul settore cinema dei famosi fondi del Recovery Plan. Da un lato si sceglie di sostenere il piano industriale di crescita di una impresa statale (Cinecittà) finanziando anche l'acquisto di un terreno di un'altra impresa statale (Cassa Depositi e Prestiti) dall'altro si finanzia una migliore efficenza energetica degli esercizi rimasti in vita per miracolo o perché già più strutturati in partenza.
Comunque sia, come giustamente mi ha fatto notare database dopo aver letto l'anteprima di questo testo, la cosa più triste è il fatto che la cultura in Italia sia considerata come una ruota che deve sostenere il cash che viene dal turismo, non un organismo vivente che ha bisogno di cure e sostegno da parte delle istituzioni.
E chi si aspettava che i fondi del Recovery Plan potessero essere utilizzati - come accadrà invece in Francia nell'ambito del France Relance - per sostenere realmente l'industria culturale, per mettere mano ad alcune storture, per la promozione sociale delle attività culturali ed artistiche, può anche smettere di sognare. E cambiare lavoro, vita, paese. O farsi confezionare un business plan adeguato.
Nella foto uno dei film più celebri girati a Cinecittà
Amarcord – Federico Fellini, 1973, non 1937


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