Regia di Martin Ritt vedi scheda film
Credo che molto merito vada allo scheletro narrativo faulkneriano, per quella sua sapiente ritrosia ad assumere contorni defniti: il gioco delle parti resta, dunque, sospeso a metà propendendo solo sul finire, verso il dramma sentimantale, in amalgama con alcune punte di lucida ironia tra le quali, oltre a Wells (ma di rado) vorrei dar menzione ad Angela Lansbury, ruspante gestora di albergo dal "sangue che le ribolle nelle vene, quasi avesse inghiottito uno sciame di vespe". Ma Wells la fa da padrone in tutti i sensi: mette a posto il pivello Newman, suo alter ego narrativo, scaltro e apparentemente insensibile; schiavizza Franciosa con cui ha un rapporto conflittuale che si scioglie solo in prossimità della fine; strapazza la Woodward che è donna poco incline all'abbattimento e che tiene saldamente testa a chuinque nel corso del film, si tratti di fittavoli dagli occhi di ghiaccio o cagionevoli gentiluomini eredi delle richezze dell'America sudista; palpeggia (con gusto) Lee Remick, frivolezza e nient'altro. Senza Faulkner e senza Wells il film varrebbe poco, lo trovo comunque ben riuscito nel complesso, specie nelle sezioni di dialogo serrato: memorabile a tal proposito lo scambio al vetriolo tra la Woodward e Newman allorché i bollori degli indigeni di tra i cespugli non accennavano a stemperarsi, e si levavano ancora, da quegli anfratti, ululati quali "Eula uh-hu!!!"
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