Regia di Bogdan Mirica vedi scheda film
Roman (Bucur) ha ereditato 500 ettari di terreni dal nonno. Il quale non era uno stinco di santo, visto che era a capo di una banda di individui poco raccomandabili che trafficano droga in un angolo sperduto al confine con l’Ucraina. L’uomo decide di disfarsi di quei terreni, ma gli scherani del nonno, trovandosi senza padrone, non saprebbero più dove spadroneggiare. E allora cominciano a incutere paura a Roman, deciso a portare a compimento i suoi intenti, mentre il paesaggio umano e naturale, fatto di case sbrecciate e campi brulli, suggerisce che lì la legalità è un ospite di passaggio. Nel frattempo, un poliziotto piuttosto male in arnese (Visu) indaga sulla sparizione dell’intermediario che ha permesso la vendita dei terreni, ricavando indizi perfino da uno stivale con dentro un piede mozzato, sezionato sul piatto della cena con un umorismo nero da periferia del mondo.
Il regista rumeno Bogdan Mirica firma un’opera straniata, lentissima, eppure capace di improvvisi sussulti, relegati a dialoghi sorprendenti più che all’azione, qui ridotta al minimo. Lunghe inquadrature fisse, parole centellinate, silenzi tirati per le lunghe trasformano quella campagna della Dobrogea in un “est selvaggio” dove il cane chiamato ironicamente “Polizia” non spaventa nessuno e i veri padroni sono i banditi. Ne esce una sorta di western crepuscolare, in cui il rapporto tra il civilizzato Roman e il villain alle dipendenze del nonno (Ivanov), sanguinario e lucidissimo, fa da prisma al contrasto tra città (Roman viene da Bucarest) e campagna, tra chi prova a condurre un’esistenza ordinata e chi si è abituato alla vita terrena come cane selvatico.
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