Regia di Alessandro Di Robilant vedi scheda film
Un buon film su un magistrato che, finito forse per troppo tempo in un cono d'ombra rispetto a più illustri colleghi vittime di mafia, ha recentemente avuto una sorta di riconoscimento postumo con la conclusione del processo di beatificazione
E' meno didascalico di quanto ci si potrebbe aspettare questo buon film del '94 sugli ultimi anni del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1994, in una terra ed in un periodo dove i "candidati all'obitorio" (come vengono definiti nel film) erano praticamente quotidiani. Livatino seppe mantenere un rigore morale e professionale che quasi strideva con una certa timidezza nella sfera privata, morigerata e minimalista. Scarpati da questo punto di vista ne da un'ottima interpretazione che alterna momenti di estrema durezza ad altri di una dolcezza quasi infantile, aiutato dall'altrettanto ottima prova di una posata Sabrina Ferilli nella parte dell'avvocato con cui aveva avviato una complicata relazione. Inevitabilmente il "giudice ragazzino" (come lo definì un pò forzatamente il presidente Cossiga) sentiva aleggiare intorno a sè la morte, una condizione che impediva anche di fare progetti a lungo termine ed avere una visione ottimista del futuro, finendo così per rifugiarsi negli affetti (gli anziani genitori con cui conviveva, interpretati dai professionali Leopoldo Trieste e Regina Bianchi) e nella fede come unica via di fuga da tanto orrore (recentemente si è concluso il processo di beatificazione dello stesso magistrato). Un film a suo modo bello e intenso, mai sopra le righe e mai morboso nel confronto con l'inevitabile mattanza di quegli anni, un pregio rispetto ad altre pellicole che sembra seguire quella delicatezza esistenziale del protagonista.
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