J.C. Wiatt è una donna in carriera newyorkese, chiaramente affetta da workaholism. Ma proprio quando sta per diventare socia della ditta di management dove, da anni, butta il sangue per 50 ore alla settimana, le piomba addosso la piccola Elizabeth, ovvero la figlia di un suo cugino inglese deceduto in un incidente, che l'ha nominata tutrice della bambina.
Nella seconda metà degli anni 80, complice il benessere diffuso, la cinematografia iniziò a prestare una particolare (quanto curiosa) attenzione al tema dell'infanzia. Nello stesso anno di questo film, infatti, uscirono:
Da Grande con Pozzetto, e poco dopo Big con Tom Hanks e Tre scapoli e un bebè di Leonard Nimoy. Appena un anno prima era uscito Labyrinth col Duca Bianco, altro film che - se pur per via favolistica - parla, comunque, di un bambino rapito da salvare.
Insomma, l'infanzia - terreno ancora vergine - iniziava a interessare, e a produrre fatturato anche al di là del mondo dei giocattoli.
Baby boom fa parte di questa ondata pro vita (e pro incasso, dato che il film ha fatto oltre 26 milioni di dollari).
E' una perfetta commedia dei sentimenti puliti, come sapevano fare benissimo gli americani dell'epoca (oggi quell'Eden è irreparabilmente perduto), che ha retto - abbastanza - la prova del tempo.
Il merito principale della riuscita di questo film, oltre alla pucciosità della bambina (nella realtà due deliziose gemelline dal cognome impegnativo: Kennedy), e a una sceneggiatura brillante, è da tributare, per larga parte, a una sfavillante Diane Keaton, appena quarantenne, che regge - letteralmente - tutto il film sulle sue spalle; Diane commuove e coinvolge a tal punto che si è stanchi per lei.
Alcune rapide riflessioni.
La prima è che non ricordavamo la presenza del compianto ghostbuster Harold Ramis, nel ruolo del pessimo fidanzato, già Peter Pan.
La seconda è sul ruolo della donna nel ricco Occidente, ovvero di quella sempre "ricattata" dalla biologia e dalla cultura, che deve scegliere fra carriera e sentimenti, anche se il film vuole - non senza faciloneria - offrire una terza via (il tema di fondo è un giannimorandiano "Dai che ce la fai!").
La terza riflessione, infine, proviene da una scena precisa del film.
La Keaton è al parco giochi con la piccola. Alle sue spalle ci sono tre madri che parlano degli impegni dei loro bambini, che hanno la settimana completamente impegnata da pianoforte, sport, e altre mille attività (fra cui già lo psichiatra!) che si stenterebbero a richiedere a un adulto. Una delle madri, addirittura, indicandosi il pancione pregusta già le scuole super prestigiose che il figlio in arrivo dovrà ciucciarsi, pena la squalifica sociale. E quando la Keaton, montessoriana inconsapevole, fa capire loro che lei non ha programmato niente per la sua bambina, le tre invasate la guardano con autentico disappunto. Ecco, questo ci ha fatto pensare alle mille attività a cui sono costretti i nostri figli e nipoti, oggi. Mille attività cervellotiche che niente hanno a che fare con un'infanzia da godersi in modo sereno e un po' fatato.
A 38 anni di distanza da quella New York rappresentata nel film, noi - oggi, in Italia (ma un po' ovunque) - come degli automi scimmiottiamo, in modo supino e coattivo, quel modello educativo nevrotico e ansiogeno.
E poi i giovani hanno le crisi di panico, l'indolenza e l'ansia.
Ma ci vuole una laurea in sociologia per capire tutto questo?
Tornando a noi, film delizioso, e molto ben recitato.
Musica di Bill Conti, quello di Rocky.
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