Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
"Veronika Voss" è il penultimo film di Rainer Werner Fassbinder, è un melodramma impregnato di morte che, pur rifacendosi abbastanza da vicino alla vicenda dell'attrice Sybille Schmitz, ha molti punti di contatto con lo stesso regista e purtroppo ne annuncia in qualche modo la tragica scomparsa, rivelandosi dunque opera fra le più sofferte e autobiografiche dell'autore.
Venendo a concludere la cosiddetta "Bundes Republik Trilogy", "Veronika" è l'ennesimo ritratto di donna sconfitta dalla vita, un'attrice famosa durante il periodo nazista, tagliata fuori dal cinema nel dopoguerra, ma che sogna un improbabile ritorno sullo schermo, e nel frattempo conosce casualmente un giornalista sportivo che si sente attratto da lei e scopre un torbido intrigo alle sue spalle. Il film si inserisce perfettamente nella continuità dell'opera fassbinderiana, è un melodramma bagnato di Noir che sicuramente guarda al "Viale del tramonto" di Wilder, come hanno notato un po' tutti i commentatori, ma è dotato di una propria cifra stilistica peculiare, girato in un bianco e nero assolutamente affascinante di Xavier Schwarzenberger dove i contrasti di luci e ombre che ricordano l'espressionismo in alcune scene vengono completamente assorbiti da un biancore accecante, con immagini di straordinaria bellezza compositiva dove ritroviamo uno stile di regia e dei movimenti di macchina molto ophulsiani che stavolta mettono in ombra l'abituale ispirazione per il cinema di Douglas Sirk.
Spesso fittamente dialogato, con una trama che si muove tra numerosi colpi di scena, "Veronika" è una pellicola per molti versi quintessenziale per l'autore che però, oltre alla notevole maestria formale esibita da un Fassbinder purtroppo anche lui sul viale del tramonto a livello umano, ma non artistico, è caratterizzata da una pena sottile per i suoi personaggi e da una tragicità certamente accentuata ma che riesce a non scivolare nel compiacimento esibizionista. Finalmente vincitore di un Orso d'oro al festival di Berlino, dopo tante partecipazioni a vuoto in termini di premi, Fassbinder continua con la sua volontà di realizzare melodrammi hollywoodiani nella Germania della sua epoca e qui si appoggia su un pregevole copione di Pea Frohlich e Peter Martesheimer, che già avevano scritto anche la sceneggiatura del Matrimonio di Maria Braun. Il ritmo è decisamente spedito, con brusche transizioni da una scena a quella successiva; qualcuno lo definisce un esercizio di stile, ma a mio parere sbagliando, poiché lo stile è in funzione di storia e personaggi in una maniera come al solito viscerale, dolorosa e sincera. Notevole nel cast la prestazione di Rosel Zech, attrice inedita per Fassbinder ma di forte risonanza melodrammatica, affiancata da un Hilmar Thate di buona resa nella parte del giornalista e, fra i vari caratteristi, spicca soprattutto Annemarie Duringer nella parte della malvagia dottoressa Katz.
Voto 8/10
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