Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
VOTO 10/10 Secondo capolavoro assoluto, dopo Ladri di biciclette, del regista/attore che, dietro la macchina da presa, trovò il suo momento di gloria durante la stagione del Neorealismo, ma che in seguito si sarebbe dedicato a produzioni commerciali molto meno ambiziose. Umberto D. è un film che ormai ha acquisito rinomanza internazionale e merita di rientrare fra i classici del cinema sulla terza età: un film amaro e desolato che all'epoca in cui uscì suscitò furibonde polemiche per il disincanto e il pessimismo che sembravano trapelare dalle sue immagini. In realtà, nonostante l'indubbio sentimento di disperazione, il film vibra di umanità dal primo all'ultimo minuto, è straordinariamente commovente pur rifiutando i facili patetismi e i ricatti sentimentali. Un film che trasmette allo spettatore un elevato senso di dignità, perfino il concetto di "responsabilità" che sta dietro a ogni scelta umana, in particolare per quanto riguarda la conservazione della vira. Sceneggiatura di Cesare Zavattini scrupolosamente rispettosa dei principi fondanti dell'estetica Neorealista, interpretazione sobria e intensa del professore di Linguistica Carlo Battisti, regia all'insegna della concisione e dell'affetto per il personaggio, a quanto pare un omaggio di De Sica alla figura di suo padre che si chiamava Umberto. Oltre al personaggio centrale di Umberto, memorabile anche la servetta di Maria Pia Casilio, scoperta dal regista e attiva anche in seguito nel cinema, e molto efficace nella sua perfidia il personaggio della padrona di casa interpretato da Lina Gennari. La musica del maestro Cicognini fa pensare più volte alle partiture Chapliniane, e il confronto col cinema dell'immortale Charlot viene spontaneo anche se si considera il rapporto di tenerezza e solidarietà fra Umberto e il cane Flaik. La sequenza del tentativo di suicidio è straziante, ma i momenti indimenticabili sono numerosi, dalla degenza in ospedale ai discorsi con la giovane domestica incinta, dalla visita al canile alle passeggiate con l'animale a Villa Borghese. Un grande classico che non ha perso un briciolo della sua forza espressiva, un capolavoro di poesia e di umanesimo girato nello stesso anno in cui uscì "Vivere" di Kurosawa, dalla tematica molto affine, purtroppo anche il canto del cigno del cinema neorealista inteso in senso stretto, che già all'inizio degli anni 50 risultava poco in sintonia con le nuove istanze del cinema italiano.
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