Regia di Göran Olsson vedi scheda film
«Questo è un testo didattico», ci dice Gayatri Chakravorty Spivak, scelta da Göran Olsson come prefatrice a questo «omaggio e descrizione di I dannati della terra di?Frantz Fanon». Lei è l’autrice di The Post-Colonial Critic, una delle maggiori pensatrici contemporanee, lui è il regista di The Black Power Mixtape 1967-1975, svedese interessato a ribadire in film lo sdegno per gli stupri identitari dell’Occidente sul prossimo suo, a non ammorbidire la storia. L’oggetto di studio, Fanon, è un personaggio fondamentale per i movimenti anti-colonialisti africani, borghese martinicano e soldato francese, psichiatra umiliato come «negro» nella terra dei coloni, attivista contro questi in Algeria, Tunisia, Egitto, Ghana, Mali, Angola, Congo, morto a 36 anni per leucemia. «Il colonialismo è violenza e cederà solo a una violenza superiore», scrive. Per restituire, a chi l’ha persa, un’identità fuori dagli schemi dell’imperialismo. Olsson recupera immagini d’archivio della tv svedese, 16 mm che testimoniano colonie portoghesi dal 1960 alla prima metà degli anni 70, schiavismo e guerriglia: nove sconcertanti scene di autodifesa anti-imperialista, su cui stampa a godardiane lettere le parole di Fanon, lette dalla voce hip hop di Lauryn Hill. Riducendo così i significati del found footage all’agit prop, il relativismo dei segni a un’unica morale, e creando, direbbero i filosofi, un popolo: non tutte le ragioni sono lecite, un film come questo chiede di schierarsi, di scegliere da che parte stare.
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