Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
I Dover e i Birch non sono solo vicini di casa ma sono anche amici. Anna e Joy, le loro figlie di sei anni, scompaiono dal vialetto di casa nel pomeriggio della festa del ringraziamento. Keller Dover decide di affrontare il suo incubo applicando una giustizia personale e incontrovertibile. Ad aiutarlo Franklin Birch, ad ostacolarlo il detective Loki intenzionato a scoprire la verità oltre ogni ragionevole dubbio.
Prisoners di Denis Villeneuve è un thriller piacevole e coinvolgente che però funziona solo in parte, solo in alcuni elementi. Partendo da una fotografia grigia, dove il sole non prevale mai, Villeneuve inscena un dramma disseminando elementi indiziari per tutta la prima parte del racconto; i cui stessi elementi dissemina per la restante durata della pellicola permettendo allo spettatore non solo un coinvolgimento costante ma anche la possibilità di farsi una propria idea.
Questa prima parte quindi è buona e appassionante e getta le basi per quello che potrebbe tranquillamente essere un thriller valido, basandosi anche sulle apprezzabili interpretazioni dei protagonisti, Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal e Viola Davis su tutti, la seconda parte finisce per essere non solo stranamente ed eccessivamente lunga, ripetendo concetti e situazioni già ben esplicate ma da un certo punto in poi, e soprattutto nel finale, diventa finanche prevedibile e poco credibile.
Forse perché l’abitudine ai finali tragici ormai ha preso il sopravvento ma questo finale inaspettatamente buonista e positivamente risolutivo devo ammettere che mi ha disturbato. L’ho trovato fuori luogo e poco credibile nel suo svolgimento. Tempi dilatati su azioni per evitare il peggio; l’eccessiva furbizia e perspicacia di Keller Dover a sfavore del più illuminato detective Loki e altre situazioni varie ed eventuali, che evito di elencarvi per non includere elementi che potrebbero indurre allo spoiler.
In sostanza abbiamo un’idea ottima, sviluppata con perbenismo, sullo sfondo di un’ambientazione suggestiva che a volte prevale anche sulla storia stessa. Nota di merito per Paul Dano, il suo Alex Jones, introverso e taciturno, ambiguo e oscuro è uno dei personaggi più inquietanti che il cinema possa ricordare.
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