Regia di William Wyler vedi scheda film
Giunta a Chicago dalla provincia americana, la giovane Carrie (Jones) trova ospitalità presso un commesso viaggiatore. Ma si invaghisce di George Hurstwood (Olivier, superbo ed elegantemente dolente), un uomo sposato che per lei è disposto ad abbandonare ogni agio e trasferirsi a New York. La fortuna, però, gli volta le spalle, il passato lo perseguita e per l'uomo comincerà un'interminabile discesa agli inferi.
Tratto dal romanzo di Theodore Dreiser, Carrie (questo il titolo originale; stendiamo un velo pietoso su quello italiano, che sembra più adatto a un giallo da edicola), è uno dei migliori film di Wyler, qui in versione Matarazzo a stelle e strisce. Il ritratto di un uomo innamorato, coerente, pieno di dignità è tratteggiato con ampiezza di sfumature all'interno di un telaio narrativo ricchissimo, dove accade di tutto e non mancano i colpi di scena. Certo, la produzione dell'epoca si diede da fare per depotenziare l'impianto sociale del romanzo (che, non a caso, negli USA uscì in edizione integrale solo nel 1981), sicché il film lascia assai più spazio alle sventure individuali che non ai meccanismi collettivi. Ma nella caduta di Hurstwood e nell'ascesa un po' colpevole di Carrie, resta comunque il senso di un'America feroce e ingannevole. Peccato per i tagli imposti dalla Paramount (così si legge rispetto al making of del film) e per la perla di Ginger Rogers, che rifiutò la parte bollando il film come "propaganda comunista". Se lo avessero girato oggi, magari avrebbe parlato di cultura woke.
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