Regia di Charles Laughton vedi scheda film
La morte corre sul fiume (Titolo originale The night of the Hunter), tratto da un romanzo di Davis Grubb e sceneggiato da James Agee (La Regina d’Africa), è l’unico film, girato nel 1955 dal grande attore (di teatro e di cinema) Charles Laughton.
Nel film si racconta di un padre, Ben Harper (Peter Graves), che, prima di essere arrestato per il furto di 10 mila dollari e l’uccisione di due persone, nasconde il bottino nella bambola della figlioletta Pearl e fa giurare al figlio John (Billy Chapin) di non rivelare a nessuno il nascondiglio e di proteggere sempre Pearl. Nel frattempo, il sedicente pastore Harry Powell (Robert Mitchum) che ha ucciso, come molte altre volte, una ricca vedova per derubarla, si autoassolve in un surreale dialogo con il Signore credendosi ispirato da Lui perché “… ci sono cose che Tu odi, Signore: la corruzione, la lascivia, la gente profumata che si inebria nel peccato”, dimostrando così il suo fondamentale puritanesimo (ma che in realtà è copertura della sua profonda misoginia)…
In questo film trovo fuorviante focalizzarsi sull’intreccio perché al regista più che raccontare una storia realistica preme esporre una parabola: eventi e personaggi sono funzionali all’affermazione di un contenuto morale, il quale è evidenziato dall’incipit che figurativamente evoca il sovrannaturale: “guardatevi dai falsi profeti, è dai loro frutti che li potete riconoscere”. Trattandosi di un racconto morale, il film non è pertanto classificabile con i generi codificati dai canoni dell’industria hollywoodiana da cui prescinde, ma può essere solo definito genericamente come drammatico.
Lo stile narrativo crea un’atmosfera vagamente irreale e onirica, evocativa più che descrittiva, spesso con inquadrature fascinose suggerite dall’espressionismo e dal surrealismo (ne è esempio il viaggio lungo il fiume Ohio), a volte con valenza simbolica, come, nella sequenza in cui Powell spiega enfaticamente il significato delle parole “amore” e “odio” tatuate sulle mani, il suo viso è per metà in luce e per metà in ombra. L’antitesi su cui si fonda il film è, infatti, è l’amore, inteso cristianamente anche come empatia e solidarietà, e l’incapacità di amare che produce l’odio; ciò produce contrasto fra personaggi che si impongono sugli altri in senso negativo, come Harry Powell, la signora Icey Spoon (Evelyn Varden) che il suo fanatico puritanesimo la rende analoga a Powell nonostante l’apparente sollecitudine verso il prossimo e capace di passare dall’ammirazione all’odio per il pastore, o in senso positivo come Rachel Cooper (Lilian Gish) che è amorevole verso i trovatelli e contrasta efficacemente Powell (“Sono un albero robusto che può sostenere molte mele. Sono ancora utile a qualcosa, grazie a Dio, in questo mondo”), come Willa (Shelley Winters) la madre amorevole di John e Pearl che si lascia abbindolare da Powell e plagiare dagli Spoon e come Ruby (Gloria Castillo), la maggiore dei trovatelli di Rachel che si lascia sedurre anche da Powell.
Il medesimo schema si ripropone anche per i due ragazzi, John, il più forte e Pearl, più debole: qui però e importante il percorso di formazione in cui John acquista coscienza, all’inizio complice del padre nel custodire il denaro rubato, ma protettivo nei confronti di Pearl, quindi provato dalla perdita dei genitori e dalla persecuzione di Powell, trova rifugio e comprensione da Rachel e illuminato dai suoi insegnamenti le dimostra riconoscenza donandole significativamente una mela (un frutto “buono”), si libera catarticamente dei maledetti dollari e non prova odio nei confronti di Powell non volendolo riconoscere durante il processo. Sembra quasi riecheggiare la parabola del figliol prodigo.
In questo film trova perfetta corrispondenza il criterio estetico per cui il valore di un’opera si giudica non da ciò che narra ma dal “come” lo narra. Il montaggio è fluido rendendo la narrazione avvincente, la splendida fotografia in b/n di Stanley Cortez è uno dei suoi punti di forza: fortemente contrastata sottolinea la drammaticità delle scene, ma sa essere anche luminosa e morbida come nell’incontro dei ragazzi con Rachel. Giustamente celebrata è la superba interpretazione di Robert Mitchum (che sarà capace di replicarla ne Il promontorio della paura di J. Lee Thompson) ed ottima quelle della veterana Lilian Gish, e dell’ingenua Willa di Shelley Winters che interpreterà un personaggio analogo in Lolita di Kubrick; ottime ed efficaci quelle degli altri interpreti: Laughton, da consumato attore, sapeva dirigere gli attori.
Concordo con chi ritiene che La morte corre sul fiume sia uno dei massimi capolavori della storia del cinema e ritengo che il suo essere al di fuori di schemi prefissati sia un titolo di merito aggiuntivo
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