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Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film

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La recensione su Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

di Azrael
8 stelle

Il film di Weerasethakul fa sprofondare i sensi dello spettatore in un ambiente notturno e arcano. Il rumore costante degli insetti e i richiami degli uccelli, il fruscio delle foglie, il lento scorrere di un ruscello. Un sensismo bucolico e ipnotico, che trasporta nel cuore di una natura primordiale, dove ogni cosa è animata da un respiro segreto. In questo ambiente ancestrale l'essere umano viene ricondotto alle sue origini più recondite, non attraverso la ragione o la memoria storica, ma tramite l'immaginazione del mito, della fiaba, del folklore magico. Apparizioni di antichi fantasmi, figure che si nascondono nel fitto della giungla, come nelle storielle da sussurrare ai bambini prima del sonno, capaci di spalancare varchi verso l'ignoto. 

 

Un cinema dei sensi e della psiche, che può ricordare Tarkovskij. Ma se il regista russa si rivolge verso l'interno, nella ricerca di una verità individuale, Weerasethakul si rivolge a qualcosa di inafferrabile, ciò che è al di la del visibile. Forze mitiche e sconosciute che da sempre accompagnano la condizione umana. Quella paura primigenia, della bestia che bracca la preda nel bosco, il deposito invisibile dei timori primordiali. Un'etnologia del mistero. Ed ecco che il film presenta sequenze di pura magia: demoni-scimmia dagli occhi rossi, la principessa malata che si unisce a una carpa, presenze che emergono come frammenti di esistenze precedenti. Il film intero può essere intepretato come la trasposizione di un oscuro rito di passaggio (come suggeriscono le due porte nella stanza del monaco), la soglia tra due mondi, tra la vita e ciò che la precede o la segue. Il luogo dell'immaginazione umana, che con il suo apparato simbolico fa confondare la realtà con la fantasia. O forse laddove la fantasia assume la concretezza del reale, o il reale stesso si rivela nelle sua verità più intima e nascosta. 

 

Bisogna probabilmente cercare a fondo nelle culture native del sud-est asiatico per cogliere il senso dei numerosi criptici simbolismi che il regista mette in scena. Weerasethakul fa riferimento diretto alla mitologia locale, alle pratiche rituali, alla concezione del tempo come ciclo e della morte come passaggio. Ma si può identificare un centro tematico nell'universale senso di estraniamento di fronte all'ignoto, la soglia primordiale tra la vita e la morte, tra visibile e invisibile, tra l'istinto e il mistero. 

 

I fantasmi non hanno a che fare con la morte, sono legati alla vita. I fantasmi sono dei vivi. 

 

Citazione dal film che suggerisce come il confine sia quindi labile. I fantasmi sono i legami che non si spezzano, le emozioni che sopravvivono alla carne, i resti invisibili dei legami umani. La scena iniziale del bue che si libera da un albero e si inoltra nel fitto del bosco è già la messa in scena di una soglia, un qualcosa che si muove verso l'ignoto. Il concetto di passaggio da una dimensione presente all'ignoto, o forse verso una nuova vita dopo la trasmigrazione della precedente. 

 

Il finale ritorna ad una dimensione più "reale" che inevitabilmente lascia disorientato chi guarda. Un riemergere alla superficie rispetto al misticismo bucolico che permea tutto il resto del film. Una cesura netta che non consola e volutamente lascia straniati, ma che forse sottolinea l'impossibilità di comprendere davvero ciò che sta al di la. Weerasethakul costruisce un film dove lo spiritismo aborigeno rimane onnipresente ma inafferrabile. Lontano dai codici occidentali, radicato in un misticismo animista e rituale che si manifesta senza spiegarsi. Psicologia, antropologia della religione: tutto confluisce in un'opera che fa delle immagini fisse (che possono ricordare Lav Diaz), del ritmo lento e della contemplazione simbolica il proprio linguaggio. Procede con ritmo consapevolmente sonnolento, riuscendo a catturare quell'indefinita sensazione di dormiveglia, del trovarsi in qualche modo sulla soglia tra due dimensioni. 

 

Film molto evocativo e originale nel linguaggio e nella messa in scena di concetti così rarefatti e oscuri, di un mondo spirituale del tutto sconosciuto in occidente. Un film che dilata i confini della forma e del senso, rendendo il cinema capace di accedere a ciò che non può essere espresso. Weerasethakul indaga sul mistero primigenio, sul senso nascosto. Per coglierlo bisogna farsi trasportare, accettare il gioco e la magia con occhi aperti e silenziosi. 

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