Regia di Ted Post vedi scheda film
western che deve molto a quello italiano, per il volerne emulare i registri, all'insegna della violenza e del realismo (c'è un duello in stile leoniano), ma è altresì una critica al sistema giudiziario americano tanto che semina i germi seminali da cui, qualche anno dopo, sarebbe nato Callaghan. Il nostro risponde a un capo determinato, un giudice che stravede per lui e che eppure lo esorta sempre a portargli i ricercati vivi così che la legge possa fare il suo corso. “Tu sei un pazzo, un pazzo furioso, ma il migliore di tutti!” lo loda in pubblico, urlando per la piazza, quando lo vede entrare in paese con tre assassini da lui scortati per tre giorni in pieno deserto. Si tratta dunque di un vero e proprio poliziesco calato nel western, col nostro che scampa da un linciaggio iniziale, perché reputato erroneamente di esser un assassino e un ladro di bestiame. Salvato per il rotto della cuffia, mentre penzola con una corda stretta al collo, viene nominato sceriffo e, con questa carica fa fuori, uno a uno, tutti coloro che avevano tentato di eliminarlo. Eastwood è di nuovo doppiato da Enrico Maria Salerno, fuma il cigarillo ma è sbarbato e assai meno smargiasso nelle battute. È al soldo di un giudice che confida di garantire l'ordine infliggendo pene esemplari e spettacolarizzando le esecuzioni, seguite in massa da tutta la cittadinanza alla stregua di uno show cittadino, con tanto di banchetti che vendono birre e dolciumi per i ragazzini. Caratterizzato da una sceneggiatura più articolata dei coevi spaghetti western, cerca di lasciare un messaggio allo spettatore (una riflessione sull'amministrazione della giustizia) e di caratterizzare a dovere i personaggi. Il personaggio di Eastwood è caricato di valori che non aveva con Leone. Cerca la giustizia e, a suo modo, è equitativo. Trova persino l'amore per una donna (la bionda svedese Inger Stevens, che si suiciderà due anni dopo), che lo accudisce quanto una madre. Si atteggia a sceriffo integerrimo più in linea con i modelli hollywoodiani che italiani. L'epilogo, un po' bruttino in verità per scarsezza di idee, lascia aperto a un sequel che non ci sarà mai.
Post confeziona una regia ibridata, con soluzioni in stile spaghetti western, quale a esempio la parte iniziale (davvero ben montata, con soggettive e personaggi seguiti a ridosso con macchina a mano) in cui si assiste all'imprigionamento di Eastwood, scena su cui vengono montati in pompa magna i titoli di testa impressi in rosso sgargiante. Un soluzione, quest'ultima, che sarà emulata da Tarantino con Django Unchained. Sebbene i rimandi ai western italiani siano evidenti, Post non tralascia lo stile d'oltreoceano (sequenze in cui si ripropone il processo americano o quelle del picnic tra Eastwood e la Stevens). Interessante la colonna sonora del vincitore del Golden Globe Domenic Frontier che commenta le immagini con tre distinti temi principali. Il primo, in stile thrilling, il secondo molto spaghetti (quello che commenta la prima uscita di Eastwood da sceriffo) e il terzo derivativo del secondo.
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