Regia di Rachel Lee Goldenberg vedi scheda film
Dopo altre storie di successo, di aziende del mondo IT, nate dall’idea di pochi illuminati reclusi nei garage di famiglia o nelle stanze dei college, con età che scollina di poco l’adolescenza; basti pensare a due casi: il più riuscito The Social Network (id.; 2010) firmato da David Fincher, firmato da David Fincher, fino al meno noto BlackBerry (id; 2023) del canadese Matt Johnson. Questa volta a fare le spese dell’incursione cinematografica nel mondo delle aziende e delle applicazioni, in tal caso di dating, è niente meno che la cofondatrice di Tinder: Whitney Wolfe Herd, neo laureata alla ricerca d'investitori nei club privati della città degli angeli e che improvvisamente viene scaraventata al centro di una start-up pronta a rilasciare una app d’incontri online alla quale contribuirà in maniera significativa, trasformandosi in quel che ha sempre desiderato: una donna in affari, con poche passioni che vadano oltre il duro lavoro, le idee creative e gli investitori. E poco importa se per ottenere finanziamenti da facoltosi multimilionari dovrà passare attraverso incontri noiosi e riunioni fiume.
Il canovaccio della pellicola firmata dalla quarantenne Rachel Lee Goldenberg, coautrice anche di soggetto e sceneggiatura, non si discosta di molto dagli standard lavorativi ai quali abitualmente questi geni della programmazione, o come in tal caso delle pubbliche relazioni e marketing, si sottopongono. Ma è la particolarità della vicenda umana della protagonista che avrebbe invece tutto per catturare il pubblico. Perché quella che inizialmente parrebbe per la protagonista una rapida ascesa senza precedenti. Diventerà invece un modo per cadere, rialzarsi ed emanciparsi definitivamente. Prima colpita nell’orgoglio, per essere stata delegittimata e poi ostracizzata da coloro che la vedevano come una semplice impiegata Whitney decide di creare Bumble, una nuova app di dating molto differente dalla sua creatura precedente, nella quale la donna avrà a disposizione la prima mossa per sbloccare gli incontri.
Fin qui la storia forse anche romanzata, per renderla più accattivante, di una self made woman dei giorni nostri. Un’eroina quasi senza macchia, né paura, protagonista indiscussa di una vicenda che però non funziona appieno. Nella quale ogni uomo, quasi senza eccezioni, è percepito come minaccioso e patriarcale. E nella quale la talentuosa Lily James, capace di offrire un’eccellente interpretazione in grado di replicare ogni stato d’animo autodistruttivo della protagonista, non può da sola riuscire a reggere un intero film che vacilla su numerosi aspetti, non per ultima la scelta di essere un Biopic rassicurante e non certo desideroso d’indagare le contraddizioni di una storia comunque di successo. Scelta che invece aveva riguardato la pellicola di Fincher sulla genesi di Meta.
Piacerà pertanto a chi ama le vicende societarie contemporanee, meno note, ma comunque interessanti. Astenersi tutti coloro che avrebbero preferito una visione meno a senso unico di una vicenda nella quale la ragione, probabilmente, non risiedeva tutta da una sola parte.
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