Trama
In un paesaggio di canneti fitti e acqua stagnante, scolpito dal vento e dall’attesa, il film Reedland racconta la storia di Johan (Gerrit Knobbe), un uomo solitario che vive di ciò che la terra e il lago gli offrono. Taglia canne da sempre, come i suoi antenati, nel piccolo villaggio dove è nato e che non ha mai lasciato. Ma il tempo si è fermato solo per lui. Tutto il resto cambia: il mondo, il clima, l’economia. E nel villaggio cresce una rabbia latente, un senso di isolamento e minaccia.
La morte violenta di una ragazza, trovata senza vita tra le canne, rompe l’equilibrio fragile. Nessuno dice nulla, ma tutti guardano Johan. Da quel momento, la realtà si incrina. Il paesaggio muta insieme al suo sguardo: il lago si fa più cupo, il vento più nervoso, il silenzio più profondo. La natura stessa sembra voler parlare, o forse giudicare. Le abitudini quotidiane (mangiare patate, urinare nella nebbia, accarezzare il cavallo) si trasformano in rituali, in atti sospesi tra la colpa e il desiderio di redenzione.
Johan non mostra nulla, ma qualcosa si muove dentro di lui. Forse è paura, forse è memoria, forse è rabbia. O forse è solo l’eco di un male più antico e diffuso, che aleggia su tutto il villaggio come la nebbia sulle torbiere. Dall’altra parte del lago ci sono i “Trooters”, rivali invisibili, trasformati in nemici pericolosi dal bisogno di avere un colpevole. Nessuno li ha mai visti, eppure tutti li odiano.
Presentato alla Semaine de la Critique 2025, il film Reedland avanza con lentezza, come il vento che piega le canne, e costruisce un’atmosfera di inquietudine crescente. Nulla è mai esplicito, ma ogni scena vibra di tensione, come se qualcosa stesse per emergere – o per sprofondare del tutto. Reedland è un film sull’invisibile, sul non detto, sulla paura del diverso e sull’illusione di potersi salvare restando immobili.
Con Reedland, il regista Sven Bresser mette in scena la tensione tra natura e umanità, tra appartenenza e esclusione. Il paesaggio olandese che conosce da sempre (le torbiere, i canali, le canne mosse dal vento) diventa lo specchio dell’inquietudine del protagonista e della sua comunità. Ispirandosi al concetto di "paesaggio colpevole" dell’artista Armando, Bresser osserva la natura non come un rifugio innocente, ma come un’entità indifferente al dolore umano, forse complice.
La rivalità tra villaggi, le riunioni dei contadini, le bandiere locali e gli inni cantati con orgoglio diventano segni di un nazionalismo provinciale, reso più estremo dall’insicurezza economica e culturale. Il film racconta la reazione istintiva di una comunità che si chiude a riccio, cercando un nemico per dare un senso al proprio declino.
Ma il film Reedland non è solo un affresco sociale. È anche un’esplorazione sensoriale della paura. La macchina da presa resta ancorata a Johan, ma lo sguardo si apre a ciò che lo circonda e che lo sfugge. Il film è abitato da presenze, rumori, ombre. La violenza resta fuori campo, ma incombe in ogni immagine. La quotidianità si tinge di mitologia rurale, dove l’orrore può nascere da una nebbia improvvisa, da un rumore notturno o da una figura che non vediamo mai davvero.
Il realismo si fonde con il fantastico in modo naturale. Non ci sono effetti speciali, ma un lavoro paziente sull’atmosfera, sulla luce, sul tempo. Il vento e la pioggia diventano protagonisti, insieme agli attori non professionisti, scelti tra gli abitanti reali della regione. Il film è girato tra le comunità della Weerribben-Wieden, con un’attenzione particolare alle condizioni atmosferiche. Bresser ha vissuto lì per un’intera stagione, ha partecipato alla raccolta delle canne, ha osservato e ascoltato.
L’attore protagonista, Gerrit Knobbe, è stato scelto dopo un incontro casuale a una riunione di contadini. È un uomo di poche parole, ma con una presenza unica. Sullo schermo, trasmette durezza e fragilità insieme. È lui Johan, l’uomo che forse ha visto troppo… o troppo poco.
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