Trama
Presentato in concorso a Cannes 2025, il film Un simple accident parte da una semplice premessa: dopo un banale incidente, gli eventi iniziano a precipitare. Un uomo normale, un evento apparentemente banale, e una spirale di tensione che mette in discussione ogni certezza. Con il film Un simple accident, Jafar Panahi costruisce un thriller asciutto e carico di inquietudine, che affonda le sue radici nell’Iran di oggi, ma parla universalmente di trauma, giustizia e memoria. Tra finzione e verità vissuta, il lungometraggio riflette su ciò che succede quando l’ingiustizia non resta impunita, ma nemmeno elaborata.
“Un simple accident è un film che nasce da un’esperienza personale, intensa e dolorosa: i sette mesi di carcere che ho vissuto tra il 2022 e il 2023”, racconta Panahi. “In quella prigione ho incontrato uomini di ogni tipo: lavoratori arrestati per aver chiesto il proprio salario, attivisti politici, semplici cittadini travolti dalla macchina repressiva. Ne sono uscito disorientato, diviso tra il sollievo della libertà e il senso di colpa per aver lasciato indietro chi ancora è dentro”.
“La domanda iniziale da cui è nato il film era semplice e spiazzante: cosa succede se uno di questi uomini, una volta fuori, incontra chi l’ha torturato?”, prosegue il regista. “Da qui è cominciato un lavoro di scrittura che si è nutrito di testimonianze reali, esperienze vissute, fratture mai rimarginate”.
“Come nei miei film precedenti, anche qui ho dovuto girare in clandestinità. Non ho chiesto alcuna autorizzazione, e questo ha comportato rischi reali per tutta la troupe. Ma tutti hanno scelto di esserci, e hanno voluto che il proprio nome apparisse nei titoli. Dal punto di vista visivo, ho scelto una regia più libera e sensibile, in cui il quadro si espande con l’evolvere delle relazioni. A un certo punto, tutti i personaggi, divisi da ideologie e ferite, finiscono nello stesso campo: un’immagine semplice, ma carica di significato”.
Il film Un simple accident si confronta con le ferite profonde dell’Iran contemporaneo: la repressione politica, l’esperienza carceraria, la vendetta e la possibilità (o l’impossibilità) del perdono. È un film che parla anche di cosa significhi appartenere a un paese, restarci, resistere. Attraverso il percorso del protagonista Vahid (Vahid Mobasseri) e degli altri personaggi, Panahi mette in scena le contraddizioni dell’opposizione al regime, la frammentazione dei movimenti, la tensione tra desiderio di giustizia e bisogno di convivenza.
La rivoluzione "Donna-Vita-Libertà" fa da sfondo emotivo e storico alla storia: un cambiamento profondo che, come nel film, è già visibile nei volti e nei gesti delle donne iraniane. Il semplice fatto che le attrici recitino senza velo per le strade è un atto politico, reale, vissuto, filmato.
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- Palma d'oro al Festival di Cannes 2025














Commenti (4) vedi tutti
Sarà per il doppiaggio, sarà per la sceneggiatura, sarà per altro, ma in alcuni momenti la tensione drammatica cala quando non dovrebbe. Comunque un bel film: 7
commento di NikArduoDa grande fan di Jafar Panahi, sono rimasto deluso dalla storia un po' didascalica e dalla piattezza della narrazione
commento di LordClamPanahi introduce il tema dell'ineluttabilità della vendetta con l'intenzione di superarlo, di andare oltre lo schema della guerra perenne, indagando sullo stato attuale dei rapporti umani in Iran, e riflettendo su come i confronti civili tra animali sociali con un proprio intelletto siano possibili ad ogni latitudine. Anche lì.
leggi la recensione completa di pazuzuLa vendetta non è mai la soluzione giusta. Mai come in questi tempi di guerre ed atrocità dovremmo riuscire a comprenderlo. Ad insegnarcelo è il regista più perseguitato degli ultimi decenni, nonché uno dei più acuti, brillanti narratori del cinema odierno, fautore di un prodotto di impegno civile e politico girato clandestinamente, di nascosto.
leggi la recensione completa di alan smithee