Regia di Michel Franco vedi scheda film
Per la gioia di vedere Jessica Chastain innamorata pazza sfilare in Gucci e Yves Saint Laurent. Per il kink di assistere, nel 2025, a una satira anacronistica sul privilegio e la lotta di classe. Per il feticismo di guardare un melodramma, sì, ma glaciale, interpretato da personaggi coi corpi perfetti. Per questo e per altro, si può godere della visione di Dreams, barzelletta griffata e grottesco fashion movie, scheletro di una storia di amore e parabola di sesso e vendetta. Tutto e niente: è la “formula” di Michel Franco, quello per cui i “furbo” dei critici si sprecano da quasi sempre. Ma teniamoci alla larga dal processo alle intenzioni: il film si palesa come un lungo proverbio metallizzato, fatto da una scrittura che è un continuo gimmick e un meccanismo che è continuamente messo in mostra, non dissimulato, al servizio di una storia di personaggi che a loro volta performano in ogni momento, mentendosi tradendosi e facendosi del male. A partire dalla donna in carriera americana che ama follemente il suo amante ballerino messicano ma preferisce tenerlo “a bada” in Messico, perché a San Francisco è invece la sua reputazione la cosa che conta.
Sarebbe problematico, di contro, prendere alla lettera la manifesta grossolanità tematica di una trama che si esibisce nei suoi massimi sistemi strutturali e non costruisce altri orpelli che non siano inquadrature ricercate, design, mobilio. Dreams è un melodramma disossato dal sentimento, una boutade che demolisce tutti e non lascia scampo a nessuno, una provocazione malpensante e corrosiva che costringe lo spettatore a indagare il proprio livello di black humor. Forse la dimostrazione finale che Michel Franco è un regista comico e che prenderlo alla lettera è esattamente la trappola che ci gabba tutti e che ci fa chiedere se le immagini, al cinema, rimandino a loro stesse o intendano sempre altro.
È indubbio certo che Dreams evochi dilemmi politici non da poco per il presente del continente americano, ma sono i contrasti che non mettono la parola definitiva di “fine”, a volte, a farci sperimentare con la nostra idea di morale. Anche perché immaginare buoni e cattivi, per quanto grossolano possa essere il film, sarebbe ingiusto e impreciso, un torto all’affilatissima idea di Dreams per la quale - quasi sulla scorta di Dogville di von Trier - da tutte e due le parti della barricata, sia tra gli sconfitti del mondo che tra gli ipocriti vincitori del pianeta, si usano sempre gli stessi strumenti di tortura e di potere.
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