Regia di Alex Garland, Ray Mendoza vedi scheda film
Durante la guerra in Iraq, nel novembre del 2006, un gruppo di Navy SEAL americani si trova asserragliato all'interno di uno stabile circondato da forze nemiche. La loro missione si trasforma in un inferno nel quale due di loro finiscono gravemente feriti. I compagni faranno di tutto per cercare di portarli in salvo.
Novello emulo di Ponzio Pilato, campione di qualunquismo e medaglia d'oro di cerchiobottismo, Alex Garland - qui in compagnia di Ray Mendoza - firma l'ennesimo film (alla stregua di Ex Machina, Men e Civil War) in cui continua a misurarsi su temi cruciali senza mai sporcarsi le mani con una presa di posizione, ma cercando di accontentare ogni genere di palato. Ed è un peccato, perché il cinquantacinquenne regista britannico ha stoffa da vendere quanto a capacità di messa in scena, direzione degli attori e abilità drammaturgiche. In questa occasione i due registi partono dalle testimonianze di chi partecipò a quella missione bellica, per costruire un film quasi interamente girato in interni, claustrofobico e scandito da un uso magistrale del suono, vero protagonista occulto della vicenda. Non c'è gloria né eroismo, semmai l'impressione di assistere a un lavoro sporco in cui la routine si mescola al panico. Garland e Mendoza scelgono un approccio quasi documentaristico, asciutto, dove l'assenza di spiegazioni rende la violenza ancora più assurda. Ne esce una via di mezzo tra Private, American Sniper e The Hurt Locker, ma con più crudezza e troppa carne in terra: un'opera tecnicamente impeccabile, spesso avvincente, ma che lascia la sensazione di un talento che continua a nascondersi dietro l'ambiguità, quasi che il senso stesso del conflitto fosse destinato a perdersi nel rumore di fondo.
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