Regia di Bryan Bertino vedi scheda film
Close the Door (of the Metaphorical Theatre).
Se “Babadook” (Causeway, 2014) di Jennifer Kent (“The Nightingale”) – un’opera sotto molti aspetti preponderanti accomunabile a questa quinta prova di Bryan Bertino (1977; “the Strangers”, “MockingBird”, “the Monster”, “the Dark and the Wicked”), così come, giusto per dare un'idea, gli altrettanto più, l’uno, o meno, l’altro, malriusciti “Run Rabbit Run” e “Monstrous” – era un film depresso, “Vicious” (Paramount, 2025) è un film deprimente, ed entrambi di sicuro non sono film sulla depressione più di quanto un cartello appeso al collo di un depresso recitante la scritta “Salve, sono depresso!” possa dire qualcosa d’intelligente che non sia contraddittorio e solipsistico (non in senso letterale, ma nell’accezione negativa del termine) e di vero che non sia scontato e banale sulla depressione (la protagonista si sente sola, ma non lo è).
Bryan Bertino, che come al solito firma la sceneggiatura e co-produce, dirige uno dei film più irritanti, pretenziosi e ridicoli del mainstream contemporaneo di fascia medio-medioalta: incoerente, senza riuscire a fare di ciò un sostegno portatore di, ovviamente tra virgolette, “struttura” e “senso”, sarebbe stato potabile per un episodio da trenta minuti di “The Twilight Zone”, ovvero un’ennesima rimasticatura - con innesto di “Non aprire la porta al diavolo!” - del mitopoietico “Button, Button” mathesoniano, già per l’appunto masticato, sputato, rimasticato, digerito, evacuato e ri-rimasticato una quantità sesquipedalica di volte con esiti eterogenei, tanto in letteratura quanto al cinema, ad esempio da Peter Medak (proprio nel revival anni ottanta della miliare serie creata da Rod Serling), Richard Kelly ("The Box") e Stephen King.
Spiace per Dakota Fanning (“War of the Worlds”, “HoundDog”, “the RunaWays”, “Night Moves”, “BrimStone”, “American Pastoral”, “Zygote”, “the Alienist”, “Once UpOn a Time in... HollyWood”, “Viena and the Fantomes”, “Ripley”), un’attrice che apprezzo e che comunque è il motivo per cui il film, così come per “The Watchers”, non precipita, ma stavolta, per quanto riguarda l’horror, punterei su Elle con “Predator: Badlands”.
Completa il cast principale una sempre incisiva Kathryn Hunter (“Orlando”, “the Baby of Macon”, “All or Nothing”, “il Racconto dei Racconti”, “Black Earth Rising”, “the Tragedy of Macbeth”, “Poor Things”, “Black Doves” ,“Megalopolis”). Poco da dire sulla fotografia di Tristan Nyby (nipote del "co-"regista, con Howard Hawks, di "The Thing from Another World") e sul montaggio di Tad Dennis, mentre alle musiche di Tom Schraeder avrei preferito – anche per il modo ossessivo-compulsivo con cui vengono utilizzate e gestite – il silenzio, e questo vale anche per il dozzinale sound design.
Close the Door (of the Metaphorical Theatre).
* * ½/¾ – 5.25
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