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C'era una volta a... Hollywood

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta a... Hollywood

di mck
9 stelle

Come mai QT ha deciso di girare una semi-docufiction iperrealista pedissequamente aderente ai fatti così come si sono svolti, tranne per il finale virato in tragico? Vuole ammonirci: "Fate attenzione, ché un mondo simile, un consorzio (dis)umano di tal (de)genere in cui certe cose accadono sul serio, potrebb'esistere davvero: ritenetevi fortunati!"

 

Il cinema - un palliativo rifugio ed un riscatto impossibile - inteso, professato e agito come, parafrasando e ribaltando Jean Cocteau, vita al lavoro 24 fotogrammi al secondo”: un atto politico, artistico e d'amore, una “macchina paradisiaca generatrice di fantasmi e doppelgänger che abitano un mondo pensato migliore, un'ucronica utopia (pochissime - da “the Great Dictator” a “For All Mankind”, passando per “Inglourious Basterds” - rispetto alle distopie, con un rapporto spannometrico di 1:100) che s'ingenera nel non-luogo che muove all'azione sito fra il proiettore, gli occhi dello spettatore e lo schermo cinematografico, una Zona fittizia e iperreale, più vera del vero, proprio come l'iperoggeto spazio-temporale ch'è quella sorta di meraviglia rappresentata dalla scena (sette minuti e mezzo) con Rick Dalton (Leonardo Di Caprio, massiccio) e James Stacy (Tymothy Olyphant, leggiadro) che, partendo come un estratto dal pilot di “Lancer” (una crasi fra il “Rio Bravo” di Hawks/Brackett/Wayne/Martin e il “DeadWood” di Milch/Hill/Minahan), si trasforma pian piano, “impercettibilmente”, nel suo making of, raccontando le effettive riprese sul set della serie tv western della CBS, con la MdP di Robert Richardson che, semi-girando intorno agli attori come fosse quella del film-nel-film, in realtà nelle sue panoramiche ad arco (quella “vera”, verso sinistra, e quella agita per ritornare in posizione, verso destra) ne svela l'arcano e l'incanto tramutando nel mentre il set cinematografico nell'opera completa e compiuta [lunghezza focale, stacchi e raccordi, jump-cut ed ellissi, colonna sonora - musica, rumori di fondo e parlato (extra)diegetico - intercambiabile che passa da “Once UpOn a Time... in HollyWood” al pilot di “Lancer” e viceversa], facendo scomparire regista, luci, troupe e il controcampo della quarta parete e le quinte: una sequenza ch'è un atto di pura “magia”, che riecheggia, entrando in risonanza, con quella, sorprendentemente portentosa, contenuta in quel capolavoro ch'è “GrindHouse - Death Proof” (secondo solo a "Jackie Brown", "Inglourious Basterds" e "the Hateful Eight"), in cui ad un certo punto (partendo da QUI) l'operatore alla Macchina da Presa (fotografia dello stesso Tarantino, con Robert Richardson per l'occasione a riposo), sulla “camera-car”, perde per un momento il contatto visivo (più o meno QUI) con la Macchina da Morte di StuntMan Mike e si ritrova spaesato a fissare il panorama dell'orizzonte abitato dagli sbuffi e dalle nuvole di polvere sollevata dalle ruote della Dodge Charger in testacoda, mettendosi a cercarla fuori campo (sollevando lo sguardo dal mirino e guardandosi intorno) per poi rirtrovarla solamente sette secondi e mezzo dopo (esattamente QUI) reinquadrandola attraverso un Movimento di Macchina a schiaffo scattante, allargando i confini del quadro pre-ordinato e svelando il cinema nel suo crearsi: la vita (la sorpresa, la ricerca) al lavoro.

 


Fotografia: Robert Richardson. Montaggio: Fred Raskin. Effetti speciali: John Dykstra. Supervisore alle musiche: Mary Ramos.

Menzioni speciali per Margot Robbie e Al Pacino, cui seguono: Dakota “Squeaky” Fanning (bravissima), Bruce Dern, Margareth [“PussyCat”] Qualley, Maya “Kasabian” Hawke, Lena “Gypsy” Dunham, Damian Lewis (SteveMcQueen) - splendida la sua linea di dialogo con Dreama Walker (Connie Stevens): “A Sharon piacciono proprio quelli [parlando di Jay Sebring (Emile Hirsch)] piccoli, affascinanti e talentuosi che sembrano dodicenni..." - "Eh già... Nessuna chance per me!") -, Scoot McNairy e per il resto della Gang.

 

...interferenza... - - - ...adoro Lori Singer ed Annie Ross... - - - ...interferenza...

 

Come mai Quentin Tarantino abbia deciso di girare una semi-docufiction iperrealista pedissequamente aderente ai fatti (perseguendo l'eterno "rinnovarsi" mitopoietico degli archetipi) ricreandoli esattamente così come si sono svolti [vale a dire, mentre assistiamo al film, così come li ricorda - testimoniati dalle sedimentazioni della cronaca che nel frattempo è divenuta storia - il nostro inconscio collettivo pop(olare) a 50 anni di distanza] tranne per il finale virato in tragico in cui Sharon Tate e il figlio che portava in grembo da otto mesi e mezzo, Jay Sebring, Wojciech Frykowski, Abigail Folger e Steven Earl Parent finiscono per essere massacrati perché né Cliff Booth [lo stuntman - un magnifico Brad Pitt - che si scontra con... “StuntMan” Mike McKay (Kurt Russell, qui nel doppio ruolo di Randy Miller e del Narratore) e Zoë Bell (qui Janet, la signora Miller)] né il suo cane né tantomeno Rick Dalton quella sera si trovavano in casa perché rinchiusi coi postumi di una sbronza colossale, qualche costola incrinata e un paio di zigomi tumefatti nel carcere di Ventura dopo essere stati arrestati fuori dal Casa Vega per aver scatenato e/o tentato di porre fine (qui il film si dimostra ambiguo) una rissa, non ci è dato sapere. Forse vuole ammonirci: “Fate attenzione, ché un mondo simile, un consorzio (dis)umano di tal (de)genere in cui certe cose accadono sul serio, potrebb'esistere davvero: ritenetevi fortunati!”

"Once UpOn a Time... in HollyWood" è un film senza speranza verso il futuro: chissà come dev'essere il presente che col tempo si sarà sviluppato da quelle premesse distopiche? Non vogliamo saperlo.

Sappiamo però quale attrice portentosa (come già allora era) Trudi Fraser (qui interpretata benissimo da Julia Butters, cui auguriamo sinceramente ed egoisticamente di tutto cuore un simile percorso artistico) diventerà - e vogliamo credere (anzi, meglio: ne siamo certi!) che così sarà, nonostante tutto, anche in quella linea spazio-temporale, tremendamente divergente rispetto alla nostra, architettata dal regista e sceneggiatore dei non ancora citati "Reservoir Dogs", "Pulp Fiction", "Kill Bill" e "Django Unchained", nella quale non avrà la possibilità di lavorare assieme a Sharon Tate nel capolavoro di Robert Altman “Short Cuts”, film in cui invece, nell'universo che ci è toccato in sorte, hanno recitato l'una la parte della figlia e l'altra della madre -, e questo, in definitiva, deve bastarci.

 

"Well, baby, baby, baby, you're out of time..."

 

* * * * (¼) ½   

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