Regia di Dan Trachtenberg vedi scheda film
Nelle sale italiane dal 6 novembre 2025 per Walt Disney Italia, Predator - Badlands è il nono capitolo del franchise inaugurato nel 1987 con Predator, diretto da John McTiernan e con protagonista Arnold Schwarzenegger che si scontra fino all’ultimo sangue (verde fosforescente) con un mostro alieno in un imprecisato (e lussureggiante) stato dell’America Centrale.
È anche il settimo film della serie, se escludiamo i relativi crossover con Alien, e il sesto in live action (c’è stato infatti anche un film d’animazione), ed è anche il terzo film della saga diretto da Dan Trachtenberg dopo Prey (2022) e il già citato film d’animazione Predator – Killer dei Killer, sempre di quest’anno.

"Gli Yautja non sono preda di nessuno. Non sono amici di nessuno. Sono predatori di tutti."
Il regista americano, anche sceneggiatore insieme a Patrick Aison & Brian Duffield, conosce quindi piuttosto bene il franchise, con le sue potenzialità e le sue problematiche rivelatasi soprattutto nelle ultime pellicole. e rimane quindi da domandarsi come i fan più duri e puri riescano ad accettare quest’inedita versione in PG-13 (è la prima volta che un lungometraggio del franchise Predator non ottiene alcun Rating R) dei cacciatori più letali (e sanguinosi) della galassia.
Da sempre agognata per qualsiasi pellicola, il PG-13 non è assicurazione di un successo al botteghino ma è comunque auspicabile, per le diverse produzioni, l’opportunità di ampliare il più possibile il proprio bacino di riferimento e, quindi, di maggiori riscontro al box office. ma che il PG-13 equivalga anche ad un ridimensionamento della qualità di un’opera, specie se di fantascienza, non è assolutamente detto, al contrario di quanto pensano in molti.
La sceneggiatura poi non è priva di pregi a partire da un world building affascinante (il linguaggio degli Yautja è stato ricreato dal linguista Britton Watkins, già autore della lingua Na’vi in Avatar di James Cameron) e dall’idea di sovvertire la comfort zone del mondo degli Yautja ambientando la pellicola in un mondo alieno dove è il predator a diventare preda, e dove lo sguardo degli sceneggiatori sembra rivolgersi soprattutto alla tragedia shakespeariana tra figlicidio, parricidio, un “nido familiare” disfunzionale ed esilio e vendetta oltre a una ricerca identitaria decisamente violenta e distruttiva mentre è la ribellione all'autorità (genitoriale) sociale il grande tema di fondo per fare dell’autodeterminazione il vero e unico scopo della (vita) pellicola.

Trachtenberg costruisce un western distopico sulle orme di George Miller e a un racconto corale e “familiare” disfunzionale tipico di un certo cinema firmato James Gunn, equamente diviso tra patriarcato (gli Yautja e lo scontro generazionale tra Padre e figli ribelli) e matriarcato (i sintetici e i conflitti emotivi tra “sorelle” e “Mother”) mescolando tra loro (perchè no?) anche Star Wars, Alien, Avatar e Shadow of the Colossus ma anche il il Conan di Frank Frazetta o Barry Windsor Smith (il giovane predator Dek nasce da quì) e trasformando la Nuova Zelanda, dove è stata girata la pellicola, in una frontiera Oltremondo primordiale mai visto prima ma che (soprav)vive di continui echi cinematografici (e non solo).
E all’epopea sci-fi inizialmente solitaria del Predator, e nella messa in scena dei maldestri tentativi del protagonista di sopravvivere a un mondo decisamente ostile, si affianca ben presto, e in modo del tutto anomalo, la dimensione inaspettata di un improbabilissimo buddy movie e al confronto tra i grugniti, e l’azione implacabile, dello Yautja e l’instancabile parlantina, spesso senza freni (o a sproposito), di una sintetica della Weyland-Yutani (proprio la corporation protagonista della saga di Alien), anche lei sul pianeta con lo stesso obiettivo del predator.

In Badlands vengono lasciate da parte certi eccessi horror come anche la ferocia esplosiva di certi capitoli precedenti per mostrare piuttosto le conseguenze di un indottrinamento sociale, che sia quello di un alieno, di un androide, di un mostro o addirittura di un mondo extraterrestre.
Tutti cercano qualcosa, in Badlands, e tutti vogliono il “mostro” che è proiezione metaforica dei desideri e delle ambizioni dei contendenti, non ci sono umani, in Badlands, solo mostri ed esseri artificiali ma tutte le emozioni, le pulsioni, i desideri e le paure, sono terribilmente umane.
A Trachtenberg interessa cosa rivela la caccia dell’interiorità di un personaggio ma il minimo comune denominatore, seppur in parte edulcorato, rimane sempre e comunque il trofeo da conquistare attraverso la violenza e la sopraffazione (ed esiste forse qualcosa di più umano di questo?).
L’umanità diventa quindi un parametro morale che definisce tra le varie “creature” chi è il più simile all’uomo, ma non necessariamente in termini positivi.

Riguardo ai protagonisti, il regista regala a Dimitrius Schuster-Koloamatangi una performance puramente fisica mentre valorizza invece la dialettica e la verve espressive di Elle Fanning, dividendola in due gemelle “sintetiche” antitetiche (!) tra loro per (programmazione?) bontà, ingenuità e feroce adesione ai propri “codici” di riferimento.
In definitiva, Dan Trachtenberg dirige un film che è soprattutto un nuovo tassello di un mosaico molto più grande e complesso e, in questo senso, Predator – Badlands ne sconta tutti i limiti possibili preimposti dai precedenti film seriali e da un futuro in divenire di cui lascia spalancate le porte (o un enorme portone) ma se il cinema (commerciale) americano non è in grado di affrancarsi da una certa serialità (ripetitività?) che almeno si presenti nella “miglior veste” possibile.
E per quanto possibile è proprio questo il caso.
VOTO: 6
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta