Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Un film che imprime energia e tensione, fondendo azione, satira e profondità emotiva.
Paul Thomas Anderson non è mai stato un regista che gioca sul sicuro. Con Una battaglia dopo l’altra (2025) porta il cinema americano in un territorio che mischia rivoluzione, satira, thriller d’azione e dramma familiare. Un film smisurato, girato come un manifesto politico ma anche come un blockbuster d’autore. È il suo film più costoso, il più rumoroso, il più divisivo, eppure funziona: riesce a restare personale anche dentro la macchina da guerra di Hollywood.
La storia si muove su due piani temporali. Nel prologo vediamo i French 75, un gruppo rivoluzionario di cui fanno parte Bob Ferguson (Leonardo DiCaprio), dalla scatenata Perfidia “Beverly Hills” (Teyana Taylor) e da Deandra (Regina Hall). Assalti a centri di detenzione, esplosioni, rapine: Anderson apre con un caos anarchico che sembra uscito da un film bellico sporco e feroce. Qui entra in scena il colonnello Lockjaw (Sean Penn), sadico, clownesco e inquietante guardia di confine, incarnazione di un’America disumana.
Quando Perfidia viene arrestata, dopo essere rimasta incinta e aver partorito, la storia fa un salto di sedici anni. Nel presente ritroviamo Bob, padre isolato e paranoico, con la figlia adolescente Willa (Chase Infiniti). Ma Lockjaw non è sparito, e il rapimento di Willa da parte di un culto suprematista riporta Bob nel vortice della violenza. “Sensei” Sergio (Benicio Del Toro), maestro di karate di origini messicane e insegnante di Willa prima del rapimento, affianca Bob nei momenti più critici, in un viaggio che unisce azione e riflessione sui legami familiari.
Anderson gira un film che sembra tenere insieme Kubrick e James Cameron: satira politica e spettacolo d’azione convivono senza mai annullarsi. Le sequenze di massa – inseguimenti, esplosioni, fughe – hanno la potenza di un kolossal, ma non manca la vena ironica e amara che gli appartiene da sempre. Una scena come quella del “codice segreto” (la domanda assurda “che ore sono?”) dice tutto sul suo stile: ridicola e dolorosa insieme. La regia alterna momenti epici a parentesi intime, e costruisce un affresco che è tanto cinema politico quanto spettacolo pop.
Il film nasce dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, ma Anderson ne prende solo lo spirito: anarchia, paranoia, sguardo sulla deriva americana. La trama è più lineare rispetto al romanzo, ma non perde quella tensione postmoderna fatta di slogan, deliri, contraddizioni. La scrittura tiene insieme il grottesco e il drammatico: gli slogan rivoluzionari di Perfidia diventano motti punk-femministi, le esitazioni di Bob (“non ricordo più la frase d’ordine”) diventano simbolo di una generazione smarrita. Non c’è moralismo, c’è satira feroce, e il cuore resta sempre il rapporto padre-figlia.
Leonardo DiCaprio è il centro del film: un ex rivoluzionario stanco e fragile, la cui interpretazione è magnifica, capace di rendere con incredibile intensità sia la rabbia che la tenerezza. Porta sullo schermo un personaggio goffo, imperfetto, umano fino all’osso, lasciando un’impressione indelebile. Sean Penn regala una delle sue performance più straordinarie e disturbanti: Lockjaw è un villain che mescola comicità grottesca e crudeltà pura, una caricatura dell’estremismo americano che fa ridere e spaventa nello stesso momento, interpretato con una potenza scenica che resta impressa.
Teyana Taylor è esplosiva nel ruolo di Perfidia, portando sullo schermo una figura complessa che unisce forza rivoluzionaria, sensualità e uno spirito femminista deciso. La sua performance dona al film energia e una tensione costante, rendendo credibile ogni azione e scelta del personaggio. Regina Hall e Chase Infiniti completano il quadro con naturalezza e precisione: la prima irradia carisma e presenza scenica in ogni scena, mentre la seconda, nel ruolo di Willa, riesce a trasmettere vulnerabilità e determinazione, conferendo spessore emotivo alla figura della giovane protagonista. Benicio Del Toro, nel ruolo del pacifico “Sensei” Sergio, regala una performance intensa e spirituale, con una calma che contrasta efficacemente il caos della storia, dando profondità e equilibrio ai momenti più critici.
Girato in California e Texas, con un budget imponente (circa 140 milioni), Una battaglia dopo l’altra rappresenta uno dei progetti più ambiziosi di Anderson. La fotografia è curata da Michael Bauman, alla sua seconda collaborazione con il regista dopo Licorice Pizza (2021), che utilizza telecamere VistaVision da 35 mm per ottenere un’immagine più nitida e dettagliata, conferendo profondità e respiro alle ambientazioni, dai deserti alle sequenze più dense di azione. Il film è inoltre distribuito in IMAX 70mm, che potenzia l’impatto visivo delle scene più spettacolari, pur non essendo girato originariamente con cineprese IMAX.
La colonna sonora, alla sua sesta collaborazione con Paul Thomas Anderson, è stata composta da Jonny Greenwood e si dimostra potente: archi che graffiano, chitarre che esplodono e silenzi che diventano assordanti, contribuendo a dare ritmo, tensione e impatto emotivo alle scene più intense.
Una battaglia dopo l’altra è cinema energico: anarchico, politico, straripante, satirico. È un film che ride e spara, che ti stordisce e ti commuove. Non è solo un adattamento da Pynchon, è l’America di oggi filtrata da un autore che non ha paura di sporcarsi le mani. Anderson prende il caos del presente e lo trasforma in spettacolo, senza mai perdere il centro umano della storia.
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