Regia di Paolo Strippoli vedi scheda film
Dopo l'interessante ma non del tutto convincente Piove, Paolo Strippoli ci regala, sorretto anche da un notevole cast, un buon film che pare riduttivo definire un horror. Piuttosto una riflessione sul dolore attraverso un dramma psicologico con forti influenze gotiche, ambientato in una natura straordinaria.
“Cancellando il dolore si annienta Dio, perché Dio è soprattutto nel dolore”.
Sergio, insegnante di educazione fisica con un passato di campione di judo a livello internazionale, ma soprattutto uomo tormentato da un terribile dramma familiare, viene trasferito a Remis, paesino sperduto tra le Alpi Giulie.
L'inizio non è certamente dei migliori; il professore, preda di fantasmi interiori generati dalla sua anima tormentata che inutilmente cerca di annegare nell'alcol, ha un atteggiamento scontroso con i colleghi e con gli alunni e sembra solo interessato a far passare i mesi che mancano alla fine dell'incarico.
La conoscenza con Michela, giovane e piacevole locandiera del paese lo porterà a trovare un po' di (apparente) serenità ma, soprattutto, lo introdurrà alla conoscenza del segreto della “Valle dei Sorrisi”, un rituale che coinvolge tutti gli abitanti del paese e che ha come protagonista un ragazzo dall'aspetto fragile, Matteo.
Questa in estrema sintesi la trama, almeno per quel che riguarda la parte iniziale, de La Valle dei Sorrisi, terzo lavoro di Paolo Strippoli dopo il sorprendente esordio A Classic Horror Story firmato assieme a Roberto De Feo, regista e autore di quel The Nest che a parere dello scrivente è il miglior prodotto cinematografico italiano in ambito gotico/horror degli ultimi dieci anni , e l'interessante anche se non del tutto riuscito Piove.
Il regista in qualche maniera procede sulla strada già delineata nei due lavori precedenti e propone un'opera non banale, dove il genere viene utilizzato per alcune riflessioni sull'uomo e soprattutto sui demoni che coscienze angosciate da lutti e tragedie possono generare.
Il concetto fondamentale che lega tutta la vicenda è il dolore e la quasi inevitabile aspirazione che ogni persona si porta dentro di poter sfuggire ad esso. Se l'anima di Sergio è massacrata da un terribile evento collegato al suo ruolo di genitore, quella degli abitanti di Cermis è devastata da una tragedia ferroviaria accaduta quindici anni prima che aveva travolto di lutti tutto il paese.
La via di fuga a tutto questo, e qui si innesta l'elemento “fantastico” (o più propriamente horror) è rappresentata da Matteo, che ha la capacità di assorbire il dolore altrui mediante un abbraccio. Un rito che sembra stremare il ragazzo, condotto sotto lo sguardo vigile del padre Mauro e di Don Attilio, un prete che sembra in realtà aver abbandonato i dogmi della sua Chiesa per seguire questo nuovo “angelo” (e infatti L'angelo infelice era il titolo originale del soggetto).
Ma fuggire dal dolore non è possibile, anzi può essere un qualcosa di deleterio, come afferma Pilcher (con la frase citata ad inizio recensione) l'unico degli abitanti del paese che rifiuta ogni aiuto da Matteo e anzi lo considera tutt'altro che un angelo.
Si è parlato a proposito di questo film di folk horror, e non a torto. Ma, almeno a modesto parere dell'estensore di queste righe, è più corretto definirlo un thriller psicologico con fortissime venature gotico/fantastiche. Si è spesso spesso citato (e a sproposito) come “modello” per questo lavoro Midsommar di Ari Aster, ma volendo davvero trovare un riferimento a opere precedenti il collegamento più diretto sembra essere con The Village. Lì si raccontava di una comunità chiusa che cercava di costruire una società in grado di preservare i suoi membri dal dolore (esperimento miseramente fallito, come ben sa chiunque abbia avuto modo di vedere ed apprezzare lo straordinario film di M.N. Shyamalan).Oppure ancora (e, forse, meglio visto che parliamo di un lavoro diretto da un collega ed amico di Strippoli) quel The Nest già citato più sopra, in cui una madre cercava di proteggere il figlio dagli orrori del mondo esterno ponendosi a capo di una comunità di devoti.
Purtroppo penalizzato almeno parzialmente da un finale che appare ineluttabile ma che poteva essere gestito in modo migliore, La Valle dei Sorrisi resta comunque un buon film, ottimamente diretto da un regista che si pone in ottica futura come uno dei nomi di punta dell'horror di casa nostra.
Certamente va dato il giusto riconoscimento alla riuscita del tutto all'ottimo cast: ai volti noti di Michele Riondino (Sergio) e Roberto Citran (il mefistofelico Don Attilio) si affiancano Romana Maggiora Vergano (già vista nell'incensato, e pure sopravvalutato, C'è ancora domani) nel ruolo di Michela e l'esordiente Giulio Feltri in quello dell'inquietante angelo infelice. Ma su tutti primeggia Paolo Pierobon, che nel ruolo del padre ci regala una interpretazione davvero straordinaria.
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