Regia di Paolo Strippoli vedi scheda film
Sono uscito dalla sala deluso, perché (e non so perché) credevo che questo film mi sarebbe piaciuto.
Mi aspettavo un folk horror all'italiana, avendo sentito paragoni con Midsommar (e The Wicker Man), invece mi sono trovato davanti ad una copia confusa di un genere che sto arrivando a non sopportare, soprattutto quando ha come intento quello di spiegare invece che raccontare.
Nel 2016 uscì A Cure for Wellness, un mistery horror poco considerato ma che, a posteriori, è stato precursore di un'estetica che oggi ammorba il genere, soffocandolo.
Con il suo film, Verbinski sopperisce ad una sceneggiatura tirata, a degli attori semi-sconosciuti (Mia Goth era in rampa di lancio), ad una lunghezza impegnativa, creando un film che vive della sua atmosfera. Vive, non sopravvive. C’è una bella differenza.
La gentrificazione del genere horror (di cui ha parlato Antonio Orrico nella sua recensione su ODG) forse è iniziata da lì.
The Holy Boy, che nel suo titolo internazionale contraddice le intenzioni di quello italiano, tenta di dire tanto nel modo migliore possibile, seguendo però dei canoni narrativi ed estetici ormai saturi, anche per chi li ha introdotti. Ari Aster, Robert Eggers, Alex Garland, Jordan Peele, tutti giovani registi che hanno portato in auge un modo di fare cinema che, in alcuni casi, gli si è già ritorto contro.
Paolo Strippoli aveva (ha ancora) la possibilità di creare qualcosa che si discosti dai binari di un sottogenere che sta andando verso una linea morta.
La mia delusione deriva dalla totale assenza di un punto di vista che sia proprio di un regista italiano. La questione religiosa e l'ambientazione del film non bastano per mascherare quello che è, a tutti gli effetti, un pallido tentativo di inserirsi in un mercato che non ci appartiene, copiando, ma facendo finta di non copiare.
Davvero un peccato.
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