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Gallina nel vento

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gallina nel vento

di vermeverde
8 stelle

Un film fortemente drammatico in cui la travagliata vicenda di una coppia di coniugi riflette le desolate condizioni del Giappone annichilito dalla disfatta ma che intravede una speranza nel futuro.

Gallina nel vento (titolo originale “Kaze no naka no mendori”) è stato girato da Ozu nel 1948 con lo sguardo ancora segnato dalle devastazioni del conflitto e dalla desolazione del dopoguerra. Come il successivo Crepuscolo di Tokyo del 1957, il motore della storia narrata è lo squilibrio provocato da un’assenza, qui quella del marito Shuichi (Suji Sano) partito per la guerra e trattenuto prigioniero, la cui lontananza causa pesanti difficoltà economiche alla moglie Tokiko (Kinuyo Tanaka) che la costringono a vendere i kimono per poter tirare avanti e poi, per poter curare il figlioletto ammalatosi, a vendersi in una casa di appuntamenti non sapendo come pagare le cure. Pentitasi del gesto, anche per le parole dell’amica Akiko  (Chieko Murata) al ritorno dl marito, essendo di natura onesta e sincera, finisce per dirgli la verità scatenando l’ira del coniuge che la colpisce con durezza. Alla fine, dopo aver conosciuto una ragazza della casa di appuntamenti anch’essa con pressanti necessità economiche e redarguito dall’amico Satake (Chishu Ryu) Shuichi si riconcilia con la moglie e alla fine prevale la volontà di guardare avanti anziché piangere sul passato ed iniziare così una nuova vita.

Lo sfacelo e le rovine causate dalla guerra non sono solo materiali ma si riflettono sull’intera esistenza, con uno strascico di smarrimento e di rabbia pronta ad esplodere, pesando soprattutto sulle classi subalterne: da un lato i poveri, che costituiscono la maggioranza, sono afflitti dalle quotidiane difficoltà economiche a volte insormontabili, dall’altra c’è chi cerca di arricchirsi con ogni mezzo sfruttando chi è in stato di bisogno. È questo il tema centrale del film, fra i più drammatici e aspri di Ozu, in cui sono assenti le consuete scene di bonaria ironia e il momento più drammatico anziché risolto con un’ellissi, come di regola per il regista, qui è esplicito. Non a caso in molte inquadrature è ripreso un enorme gazometro in una periferia degradata il quale, con la sua mole enorme e indifferente come il destino, opprime i piccoli e deboli esseri umani sovrastandoli.

In questo, come sempre nei film di Ozu, la prova degli attori è di ottimo livello e danno vita a personaggi ben delineati e di autentica umanità; una menzione speciale va a Kinuyo Tanaka che ha recitato in diversi film di Ozu a inizio della carriera prima di diventare la dolente protagonista dei capolavori di Mizoguchi e di intraprendere la carriera di regista: qui interpreta con intensa espressività la travagliata Tanako.

Complessivamente il film è di ottimo livello, non lo considero un capolavoro assoluto per il lieto fino a mio parere un po’ didascalico.

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