Regia di Luis Ortega vedi scheda film
Remo Manfredini (Biscayart) è un fantino con una carriera costellata di successi. Ma l’abuso di droghe, il difficile rapporto con la compagna/rivale (Corberó) e i problemi psichiatrici lo portano a non riuscire neppure più a salire su un cavallo. Decide allora di sparire dalla circolazione, ma gli scherani al servizio di un boss che specula sugli allori di Remo gli danno la caccia.
A proposito di sparizioni, di Luis Ortega si erano perse le tracce dal 2018, quando firmò l’ottimo L'Angelo del crimine. Un lasso di tempo che sembra servito al regista argentino per rivedere in buona parte il suo stile. Qui sembra di essere al crocevia tra Kaurismäki, Wes Anderson e Buñuel: dialoghi ridotti all’osso, registro straniante, inquadrature frontali, scantonamenti surreali, narrazione per quadri e sensazioni. La cifra complessiva, però, restituisce più un’opera stilosa che convincente: il tema dell’omosessualità, che fa da sfondo al film, è trattato in forma grottesca, come pure i personaggi, che sembrano usciti da un baraccone circense e messi appositamente in posa per l’occasione, prigionieri di una messa in scena tanto rigorosa quanto compiaciuta. Biscayart ha una presenza magnetica e Corberó non sfigura, ma la loro fisicità finisce intrappolata in questo post-noir ultra manierista, che mescola noir, melodramma, commedia assurda e bozzetto queer senza trovare un vero baricentro emotivo. Di questa libertà creativa, caotica e spesso gratuita, resta più il gesto che il film: la trama (gialla, per qualche fantasioso critico…), la scrittura dei personaggi, tutti ugualmente caricaturali, e l’idea stessa di reinvenzione identitaria di Remo rimangono abbozzate, lasciando allo spettatore qualche immagine eccentrica ma pochissimo coinvolgimento.
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