Regia di Luis Ortega vedi scheda film
El Jockey (2024): Úrsula Corberó, Nahuel Pérez Biscayart
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
“El Jockey” è un film bizzarro. “Loco”, come direbbero in Argentina, patria del talentuoso regista Luis Ortega. E aggiungerei ancora: folle, stravagante, allucinato, mutevole, giocoso, irriverente.
Il regista lo trasforma in continuazione perché l'esistenza stessa è cangiante. Siamo o non siamo dei mutaforma che si adattano alle prove della vita?
Lo è senza dubbio l’asso delle corse Remo Manfredini, fantino distratto da alcool e vizi, amante sbadato e campione vanesio. Remo è un’infinita variazione di cose, un uomo in perpetua cerca di sé. Remo è uno spericolato campione, un’eccentrica vecchia, un alieno dalla testa a cono, una parrucchiera gentile. Con esso si apre a nuove percezioni di sé la compagna Abril. Anche lei fantino, anche lei mutevole nelle forme dell’amore e forza della natura che si adatta a ruoli e contesto.
Nella filosofia del cambiamento di Luis Ortega, “El Jockey” è un un oggetto mutante e fiero. Nel suo seno prendono vita gangster spietati a caccia di uomini, corse da vincere, neonati inquietanti, momenti esilaranti, situazioni surreali. Come un cocktail fortissimo che sviluppa fumi dal bicchiere, “El Jockey” mescola i generi perché nulla è bianco o nero. Le variazioni nel genere cinematografico sono il presupposto per giocare con le "questioni di genere". Da uomo a donna. Da donna a uomo. Ortega ci ricorda, nella trasformazione dei corpi, che siamo un po’ tutto. Siamo uomini e donne. Difficilmente eticchettabili, siamo un mix di maschile e femminile, una miscela che ci plasma e ci permette di affrontare le diverse circostanze della vita.
È un pensiero forte, mistico, surreale quello di Ortega che esorta a rileggere le avventure di Remo (e di Abril) come un percorso originale di vita, non così dissimile da quello che che ci ha condotto al punto in cui siamo.
El Jockey (2024): Úrsula Corberó, Mariana Di Girolamo
El Jockey (2024): Nahuel Pérez Biscayart, Daniel Gimenez Cacho
Nonostante le divisioni imposte dal potere (maschile), nonostante la difficoltà ad ammettere in ciascuno di noi l’esistenza di uno yin e yang di genere, ci adeguiamo alle situazioni e “rinasciamo” di volta in volta nella preponderanza di un genere piuttosto che un altro a seconda del momento. Ortega ci invita, con un racconto carico di simbolismi ed iperboli, a far pace con le nostre componenti maschili e femminili, ad accogliere, accettarle e farle coesistere. Siamo tutti diversi e tutti uguali.
Il film non è certo semplice nella sua parabola. Il finale è forse un po’ ridondante. Ma le immagini sono già iconiche. Remo in pelliccia, rossetto e testa fasciata già inganna i tempi dell’oblio. Le immagini pittoresche, le madonne clandestine, i balli pirotecnici, le capriole e le cadute commentano una vita in perpetuo movimento e cambiamento.
Nahuel Pérez Biscayart, il macilento Sean di “120 battiti al minuto” è il fantino, l’uomo, la donna e l’infante che perpetua la vita all'infinito. Ursula Corberò, protagonista de “La casa di carta” è la volitiva e disincantata Abril. Nel cast un esilarante malavitoso collezionista di bambini (Daniel Gimenez Cacho) e Mariana Di Girolamo, fantino al testosterone, erotico e dominante, già ballerina irrequieta e disturbante in “Ema” di Pablo Larrain.
Film davvero ipnotico, sorprendente e divertente.
El Jockey (2024): Nahuel Pérez Biscayart
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