Regia di Mike Flanagan vedi scheda film
Il ricorso al fantastico, nel cinema come nella letteratura, si rivela spesso un veicolo ideale per trasmettere messaggi filosofici e per farlo nel modo più attraente per il grande pubblico. Questo piccolo grande film, non a caso basato su un racconto di Stephen King, ne è un buon esempio. Avvalendosi di un'ottima sceneggiatura che, nonostante una partenza un po' lenta e gli inevitabili stacchi temporali, riesce a tenere desta l'attenzione e la tensione (non orrorifica ma emotiva) fino alla fine, il film non delude le aspettative di uno spettatore che sappia stare al gioco. E il gioco è quello, non nuovo, del racconto su cui imbastire delle riflessioni per dare un senso a questa nostra vita, un significato universale alle vicende personali, che assumono a loro volta una dimensione multipla, riassunta nella citazione di Walt Whitman "io contengo moltitudini ". Un tema, dicevamo, non nuovo ma presentato con un espediente narrativo che, una volta compreso, crea un senso di identificazione col protagonista che amplifica il coinvolgimento emotivo. Ambizioni alte, quindi, per un film che però non pecca di presunzione, ma al contrario ci rammenta che a volte la gioia più grande si può trovare nell'abbandono fanciullesco, anche solo momentaneo, a ciò che più amiamo fare (bravissimo Tom Hiddleston nella sequenza del ballo) per ritrovare quella parte di noi che il mondo, con le sue regole e i suoi bisogni, ci nega inesorabilmente, e che essere una parte del tutto comporta ("matematicamente") delle responsabilità verso quell' universo che senza di noi non sarebbe stato lo stesso.
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