Regia di Mike Flanagan vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: THE LIFE OF CHUCK
Chissà se The Life of Chuck, vincitore del Festival di Toronto dell’anno scorso, avesse trovato un distributore per tempo avrebbe cambiato la storia degli ultimi Oscar evitando tutte le polemiche riguardanti Anora?
Perché questa nuova trasposizione da una novella di Stephen King avrebbe meritato decisamente un destino distributivo all’altezza della bellezza del suo prodotto finale.
Mike Flanagan ci ha regalato un trattato di filosofia umana con alto tasso poetico mettendo al centro la vita di un uomo normale e quanta meraviglia si può nascondere dietro a quello che facciamo giorno dopo giorno fine alla fine del nostro percorso che può essere lungo come il nonno del protagonista o fermarsi a 39 anni come succede con Chuck. Ma sono stati 39 anni degni da essere vissuti con tanto di ringraziamenti finali.
Il Chuck che dà il titolo al film in realtà si chiama Charles Krantz e la sua vita viene raccontata a ritroso in tre atti ben precisi che rappresentano i momenti cruciali che hanno reso speciale la sua vita in apparenza “Normale”. Charles è l’uomo qualunque americano che ricorda molto gli stereotipi del passato come James Stewart o Cary Grant, un contabile vestito da contabile, pettinato da contabile con un sorriso da contabile che appare in tutte le Tv e le sue foto tappezzano la sua città e l’America che è a un passo dall’Apocalisse.
Il terzo atto che apre il film, Grazie Chuck, vede il mondo a un passo dalla sua fine. Internet non c’è più e tutto il mondo si sta auto implodendo tra terremoti, alluvioni, epidemie e carestie. Protagonista è un professore di lettere che cerca inutilmente di insegnare Walt Whitman alla sua classe ma in realtà tutta la società è rassegnata al suo destino (chi lo rifiuta decide di suicidarsi prima). L’unica certezza è quel “Grazie Chuck per i suoi 39 anni” che invade ogni cosa che vede. Quest’uomo non riesce a capire cosa ha di così eccezionale una persona all’apparenza normale e che nessuno conosce. Ma proprio questi dubbi alimentano in lui il desiderio di passare l’ultimo giorno del mondo con l’unica persona che ha mai amato.
La risposta a tutte le domande è questo viaggio al contrario dentro la vita di Chuck che inizia con il secondo atto, Artisti di Strada, dove il nostro eroe consapevole del suo tumore al cervello decide di reagire al suo tragico futuro esplodendo in uno raggiante presente ballando al ritmo della batteria di un’artista di strada e contagiando anche chi passa per caso in quella performance. Un vero e proprio inno alla vita diretto in maniera magistrale da Flanagan e tutto vissuto in quello sguardo e in quel sorriso di Tom Hiddleston che interpreta Chuck da adulto.
Ma è nel terzo atto, Contengo Moltitudini, che il film entra nel pieno del suo lato poetico portando in immagini le parole e il pensiero del Canto di me stesso di Walt Whitman. L’infanzia e l’adolescenza di Chuck rappresenta l’infanzia e l’adolescenza di tutti noi. La nostra vita è la somma delle moltitudini di esperienze e persone che incontriamo per strada (un po' come il Fabietto di È stata la mano di Dio). E la colonna sonora che l’accompagna è una playlist formata di Dance Hall Days dei Wang Chung, My Sharona e Gimme Some Lovin'. Canzoni che narreranno il tuo amore per la nonna, il tuo amore per il ballo, l’emozione del primo bacio.
The Life of Chuck rappresenta al meglio il concetto che ogni vita è speciale, ogni storia è degna di essere raccontata ma soprattutto che sia breve o lunga ogni giorno della tua vita va vissuto e assaporato in tutte le 24 ore che compongono un giorno. Senza rimpianto.
Voto 8
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