Regia di Athina Rachel Tsangari vedi scheda film
Harvest (2024): scena
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Tra le cinematografie europee quella greca è, senza dubbio, tra le più interessanti, e presenta tratti stilisticamente inconfondibili. Il cinema greco è crudo, spesso spiazzante e morbosamente repulsivo. Yorgos Lanthimos è il più famoso esponente della “Greek Weird Wave”, nata dalle impronte lasciate dai vari Angelopoulos e Costa Gavras, ma non è l’unico ambasciatore di questa nuova ondata di cinema ellenico. Tra gli esponenti di questa generazione di cineasti, capaci di raccontare la Grecia e le sue frustrazioni, c’è, senz’altro, Athina Rachel Tsangari, autrice tanto interessante quanto sconosciuta in Italia, tant’è vero che il suo secondo film, “Attenberg”, in concorso a Venezia 67, ha goduto di un timido passaggio nelle sale nostrane solamente alla vigilia di Venezia 82. Di anni nella sono passati. A voi i calcoli. E, di fatto, è impossibile trovare anche il terzo lungometraggio della regista, “Chevalier” del 2015, che ha seguito le sorti del precedente con un’uscita lampo nel giugno del 2024. Il ritardo, questa volta, si limita a nove anni. Già qualcosa. Nel settembre dello scorso anno Tsangari è tornata alla Mostra del Cinema, ancora una volta in concorso, portando in laguna un film ambientato in Scozia, dal titolo “Harvest”. Chi l’ha visto a Venezia ha preferito non correre il rischio di aspettare una decade per trovarlo nella propria sala, nonostante un distributore avesse comprato i diritti per il mercato italiano giocando d'anticipo sulla presentazione ufficiale. Ad un anno di distanza, senza più notizia del film, ho pensato che si sarebbe ripetuta la medesima sorte degli altri film della regista ateniese. Da qualche giorno, invece, si registra la presenza di “Harvest” sulla piattaforma I Wonderfull. Il film, dunque, è disponibile on-demand ma l’auspicato giro nelle sale è definitivamente tramontato. La flebile temerarietà del distributore e le caratteristiche del cinema greco, di cui si diceva innanzi, sono le probabili cause dell’approdo diretto allo streaming.
Non si può negare che “Harvest” sia un film per cinefili appassionati, seducente e repellente in egual misura. Il film racconta, attraverso gli occhi del contadino Walter, l'arrivo del "progresso" in uno sperduto villaggio in cui la gestione ancestrale del territorio non è più consona ai tempi. Charles Kent, signore locale, smidollato e privo obiettivi di lungo termine, deve lasciare il posto al cugino Edmund Jordan le cui ambizioni imprenditoriali sono decisamente marcate. L'arrivo di quest'ultimo è preceduto da quello di un cartografo africano, Quill, che nel suo lavoro di catalogazione di campi, pascoli e frutteti preannuncia gli effetti destabilizzanti dell'uomo sulla natura. Lo straniero, infatti, ha l'ardire di intrappolare le terre in confini e luoghi precisi come se la natura potesse essere arginata o domata. Le tempere ed il pennello del cartografo, per quanto innocui, simboleggiano l'intromissione violenta dell'uomo nei cicli riproduttivi della natura che il villaggio accetta da secoli passivamente. Master Jordan, tuttavia, non può accontentarsi della mera sussistenza prodotta da secoli di duro lavoro, così predispone i piani per un utilizzo profittevole della terra. Il racconto di Tsangari è quello della modernità che assume i connotati del capitalismo a discapito dell'ambiente natuale e delle persone, ovvero i contadini del villaggio, inutili bocche da sfamare in un processo di sfruttamento intensivo delle risorse a cui non sono in grado di partecipare efficientemente.
"Harvest" spinge la visione del mondo medievale verso i confini della contemporaneità. Basti pensare alle conseguenze sociali che la crisi del debito sovrano nel paese ellenico ha causato ai cittadini, i cui strascichi si vedono ancora oggi, a distanza di anni, nella legge recentemente discussa dal parlamento di Atene, relativa al prolungamento dell'orario di lavoro settimanale. Tsangari, dunque, ha scelto di trasporre in immagini un romanzo inglese che nell'universalità dei tremi trattati, le ha ricordato il presente ed il recente passato della Grecia, un passato che ha le stesse sembianze del cinema dei vari Lanthimos e soci, tanto brutale quanto paradossale.
"Harvest", dunque, è il racconto allegorico del violento passaggio dalla tradizione alla modernità mentre l'atteggiamento del passivo e guardingo Walter, sembra quello di un uomo che ha scelto la madre terra come unica divinità a cui rimanere fedele. Non certo l'uomo, il capitalismo, la fede o la sciocca superstizione dei villici, bensì l'unione spirituale verso la natura animale o vegetale. L'intensa spiritualità panteistica del film di Tsangari è valorizzara da splendide inquadrature che comunicano la simbiosi tra Walter e quanto lo circonda, le acque fredde di un lago attraversato a nuoto, le spighe pungenti di un campo, e così via. La fotografia dai toni caldi e rossastri aumenta la percezione del contatto fisico tra corpi e natura che si fondono nei riti propiziatori del villaggio.
Le immagini di "Harvest" sono suadenti ed il simbolismo stimolante tuttavia non sempre la pellicola di Tsangari risulta chiara e decifrabile. C'è qualcosa che stride, forse una sorta di indeterminatezza nell'obiettivo che vuole raggiungere..Non sempre coadiuvato da comportamenti assennati e intenzioni precise il film risulta a volte cervellotico e lontano dall'esperienza cinematografica comune.
A mio avviso "Harvest" è un film interessante pur nei suoi limiti. Consiglio per questo di avvicinarlo con cautela per non rimanere scottati dal simbolico falò che incenerisce le vanità dell'uomo moderno quanto il suo benefico orientamento alla collettività.
Harvest (2024): Caleb Landry Jones
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