Regia di Christopher McQuarrie vedi scheda film
Ethan Hunt salva il mondo mentre Cruise salva il cinema, ancora una volta
Mission: Impossible – The Final Reckoning è un atto di amore. Un atto di amore per il cinema, come lo è tutta la saga. Tom Cruise lotta per difenderlo come Ethan Hunt lotta per difendere il mondo. Lo fa nella maniera più classica del combattimento, ovvero ci mette il fisico, letteralmente. In ogni nuovo capitolo della serie, l’attore americano costruisce uno stunt sempre più incredibile, lo porta all’esasperazione ed offre allo spettatore uno spettacolo senza eguali. Perché ama quello che fa e vuole che il pubblico lo possa percepire. E contro chi combatte Hunt/Cruise? Contro una tecnologia che sta cambiando e modificando la realtà e come arma per batterla usa la realtà stessa. Non utilizza la CGI per mostrare il suo personaggio che si aggrappa ad un biplano, lo fa veramente. Quindi, questo comportamento instaura un rapporto diretto con chi sta guardando il film che in quel momento sa che non viene “ingannato”, che è tutto reale. Non c’è l’Entità che modifica la visione, l’esperienza cinematografica/di vita. Entità/AI/CGI sono sinonimi di un messaggio meta-cinematografico che Cruise vuole veicolare nell’unico modo che conosce e adora. La pellicola. Certo, come ogni prodotto mosso dall’amore, non è perfetto, perché spesso la passione non rende obiettivo chi la prova, ma cosa importa? 2h e 40 di film che nonostante un inizio più prolisso del solito, scivolano via senza che ce ne accorgiamo, in cui è presente una sequenza di immersione in un sottomarino che da sola vale il prezzo di due biglietti, non uno solo. E non è nemmeno la scena madre. Molte critiche sono dirette alla figura del villain, decisamente debole e di poco spessore, ma forse perché non si è capita una cosa fondamentale: il nemico principale di Ethan Hunt nel finale della saga è Ethan Hunt stesso. Viene spesso ripetuto nel film il concetto della causa e dell’effetto delle proprie azioni e di come il peso di esse siano tutte sulle spalle del protagonista come, d’altra parte, lo è il peso della produzione del film sulle spalle di Cruise. Perciò l’antagonista diventa solo un pretesto per dare all’eroe una via per riscattarsi, anzi per accettarsi e vedersi come lo vedono i componenti della sua squadra. E questo appare chiarissimo nelle parole finali di Luther. E’ la chiusura definitiva di un cerchio iniziato quasi 30 anni fa? Parrebbe di sì. A meno che tra qualche anno, sulla scrivania di Tom Cruise non capiti una videocassetta che parta in questo modo “Buongiorno signor Cruise. La sua missione, se dovesse accettarla…”
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta