Tra un numero musicale e l'altro ci si annoia alla grande in un piatto biopic che sembra costruito solo per permettere a Timothée Chalamet un'ottima interpretazione mimetica di Dylan, ma in 2 h 21' non ci racconta nulla di interessante della personalità del cantante né della sua visione del mondo e della vita.
Il ventenne Bob Dylan arriva a New York nel 1961 per incontrare il suo idolo, il musicista folk Woodie Guthrie , ricoverato in ospedale ed assistito da Pete Seeger, che diventerà mentore dell'aspirante cantautore, che si afferma dapprima nella scena newyorkese e poi giunge a vasta fama con la pubblicazione dei primi dischi. Bob è allora fidanzato con la sua prima musa Sylvie Russo, ma intreccia una relazione tumultuosa con la collega cantante Joan Baetz. Il film segue il suo percorso artistico fino alla contesta “svolta elettrica” sul palco del Newport Folk Festival nel 1965, quando al posto della chitarra acustica Dylan imbraccia quella elettrica.
Il regista James Mangold se l'era cavata molto meglio nel genere biopic musicale con quello di Johnny Cash (tra l'altro Cash appare anche in questo film), dove aveva saputo raccontare la lotta del protagonista contro i suoi demoni ed il potere salvifico dell'amore per la moglie June. Qui invece tra un numero musicale e l'altro ci si annoia alla grande in un biopic che sembra costruito solo per permettere a Timothée Chalamet un'ottima interpretazione mimetica di Dylan, di cui canta anche molto bene le canzoni con la sua voce. Ma le esibizioni canore sono l'unico spunto di interesse di un film che non ha alcun arco narrativo e si trascina stancamente tra una registrazione e un live, con l'aggravante di volersi dilungare a raccontare nulla per 2 ore e 21 minuti. Il cuore del cantautore emergente è diviso tra due donne, la fidanzata Sylvie Russo (Ellie Fanning ) e la musicista Joan Baetz (Monica Barbaro), ma il racconto di queste storie d'amore resta in superficie e il conflitto sentimentale non appassiona. La brava Monica Barbaro riesce a infondere un po' di linfa al film con le sue limpide esibizioni vocali, ma quando lei e Chalamet finiscono di cantare tutto si riappiattisce . Anche il ruolo di James Norton quale mentore nell'ambiente folk lascia ben poco il segno. Il concerto al Festival di Newport del 1965 in cui Dylan sfidando le aspettaive dei fan abbraccerà le sonorità elettroniche per lo sgomento del pubblico che lo contesterà apertamente avrebbe potuto rappresentare un fulcro narrativo più stimolante, ma è confinato nel finale, e quando ci si arriva dopo due ore di noia ci si sente ormai disconnessi da quanto avviene sullo schermo.
Un ulteriore limite dell'opera biografica è che dalla visione si capisce ben poco della personalità di Dylan e anche della sua visione del mondo e della società che tanto ha influenzato i suoi testi: lo sviluppo di una coscienza pacifista che portò alla composizione di Blowin' In The Wind sembra rappresentato solo dall'ascolto di telegiornali sulla crisi dei missili di Cuba. Il protagonista resta così per noi spettatori a complete unknown, titolo tratto dal testo di una delle sue più celebri canzoni , Like a rolling stone: anche se questa fosse stata un'intenzione del regista, non giustifica però la realizzazione di un biopic così freddo , piatto e noioso.
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