Espandi menu
cerca
No Other Land

Regia di Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal, Rachel Szor vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Peppe Comune

Peppe Comune

Iscritto dal 25 settembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 179
  • Post 42
  • Recensioni 1652
  • Playlist 55
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su No Other Land

di Peppe Comune
8 stelle

Basel Adra è un’attivista palestinese che è stato sempre in prima linea nell’opera di denuncia dei torti che Israele perpetra continuamente contro il suo popolo. Basel stringe una sincera amicizia con Yuval Abraham, un giornalista israeliano che lavorando nei territori occupati in Cisgiordania ha potuto constatare di persona l’esercizio del potere arbitrario del suo governo. I due amici, insieme alla regista e fotografa israeliana Rachels Szor e al regista palestinese Haridan Ballal, formano un collettivo israelo-palestinese che produce, scrivedirige e monta “No Other Land”, un film documentario che denuncia le demolizioni e gli espropri di terra praticati dall’esercito israeliano nell’area di Mazafer Jatta, un territorio che comprende un agglomerato di una ventina di villaggi situato al confine sud della Cisgiordania. Le terre vengono espropriate e le case dei villaggi distruttad una ad una dai soldati dell’IDF perché Israele vuole farne un campo di addestramento militare. Il governo ne rivendica una originaria destinazione militare e un legittimo diritto di proprietà. Nonostante i fatti dimostrino che quei villaggi esistono da molti anni prima dell'arrivo dei colori sionisti, popolati da uomini e donne dedite soprattutto alla pastorizia e all'agricoltura. Girato in un arco temporale che va dal 2019 al 2023, “NOther Land”, alternando vecchi filmati amatoriali, testimonianze raccolte dai diretti interessati, immagini catturate ipresa diretta, e altre ricavate dalle riproduzioni dei diversi canali multimedialitestimonia lassoluta veridicità di quei fatti. 

 

 

scena

No Other Land (2024): scena

 

“Cosa pensi di quello che ci sta facendo il tuo paese ?

“Secondo me è un crimine

“E la tua Corte di Giustizia come può decidere che la nostra terra debba diventare territorio dell’esercito ?

“Da quanto vive qui la tua famiglia ? 

"Dal 1900. I nostri avi si sistemarono qui nel 1830. Ci hanno resi stranieri nella nostra terra”. 

 

Ci sono parole che nella loro essenziale semplicità bastano da sole a certificare la veridicità di un fatto. Ci sono comportamenti che a saperli leggere senza alcun pregiudizio di sorta fanno definire senza troppa difficoltà la chiara differenza che esiste tra l’arroganza arbitraria dei forti e i torti inascoltati dei deboli. 

Si sa che le immagini hanno sempre in sé un certo potenziale mistificatorio, non quando sono indirizzate dall'urgenza di documentare l'inconfutabilità di un'ingiustizia, quando l'afflato creativo insito nella (legittima) pretesa di un autore di offrire un proprio punto di vista deve cedere il passo alla nettezza dei fatti così come avvengono. Certo, c’è sempre una parzialità in atto, si mostrano sempre delle cose quando se ne potevano mostrare delle altre. Ma in No Other Land basta quello che ci viene mostrato per certificare la verità di un’immane e duratura ingiustizia, bastano quelle parole e quei comportamenti per giungere a delle riflessioni redditizie sullo stato delle cose. 

Si potrebbe dire che “No Other Land è un film che si limita a documentare ciò che accade, ma è un limitarsi che non estromette la regia dal delineare da vicino le modalità d’azione di Israele che si arroga diritti territoriali quando la storia di quei territori mostrano segni che raccontano tutt'altro, di sfidare attraverso l'etica dello sguardo le imposizioni narratologiche dei più forti. Basterebbe questo per rendere quello del collettivo un ottimo film, ma più che per i suoi meriti estetici e formali, per il modo in cui assolve al bisogno di farsi testimonianza documentale in un tempo dove il disorientamento analitico va di pari passo con la sempre più concreta constatazione di vivere in un mondo capovolto. E in questo mondo capovoltoi villaggi di Masafer Yatta, dove hanno sempre vissuto uomini e donne dediti per lo più alla coltivazione dei campi e al pascolo delle greggi, vengono via via distrutti per farne un campo di addestramento militare. 

“Llotta più dura e rimanere nella propria terra, dice un anziano del villaggio, parole semplici che sembrano dialogare con quelle di Edward Said che nella sua opera “La questione palestinese sostiene, con l'autorevolezza intellettuale che gli è propria e basandosi su motivate argomentazioni storiografiche, che la missione colonialista del Sionismo ha sempre basato la sua opera di occupazione del territorio palestinese su un postulato ben preciso : l'assenza dei palestinesi. Un'assenza che, dal loro punto di vista, è tale perché può riempirsi solo di ciò che è in linea con gli interessi di Israele, che può corrispondere alla sola morfologia territoriale in linea con l'idea di sicurezza nazionale che hanno i sionisti. E non c'è niente di peggio per un qualsiasi palestinese in merito alla produzione su vasta scala di un di un terrore emotivo che può sfociare in un irreversibile crisi d’identità, di vedersi costretti a considerare come una gentile concessione ciò che è tuo per diritto di nascita. 

“Questa è una storia di potere e io lo respiro dalla nascita, dice Basel Adra, che con il suo smartphone cerca di far emergere in immagini  concrete l’esercizio del potere arbitrario di Israele, usando quanto basta della finzione scenografica per far emergere, rappresentandolo, il contrasto tra la triste realtà e la volontà di resistergli. I bambini vanno a scuola nell’unico edificio ancora rimasto in piedi, gli adulti lavorano, portano al pascolo il gregge e coltivano la terra. L'abitudine ormai storicizzata di convivere con la sensazione alienante di sentirsi ospiti a casa propria si traduce nel portare sempre oltre il livello di resistenza. Nonostante non si sappia il giorno dopo quale casa verrà abbattuta, quale villaggio sarà evacuato e quali terreni saranno espropriati. Gli israeliani dicono che stanno distruggendo case costruite illegalmente su dei terreni destinati alla disponibilità dell’IDF. Il fatto è che Israele ha sempre spostato a suo piacimento il limite tra ciò che ritiene legale e ciò che non può più esserlo perché entrato in contrasto con la loro idea di difesa nazionale. Il fatto è che Israele, per favorire l'insediamento dei coloni nei territori occupati, ha sempre dovuto trasformare una presenza in assenza, un territorio dove esistono chiaramente le tracce della storia del popolo che l’ha abitata in una terra arida da riportare all'antico splendore”. Peccato (per loro) che la pietra dimostra che quella terra è stata villaggio popolato da uomini e donne da molti anni prima che si iniziassero a riscrivere le mappa del potere. Peccato che le stratificazioni territoriali sanno resistere agli inganni della neo-toponomastica. Peccato che la voce di un popolo può sempre raccontare la sua storia. 

“La nostra libertà è in pericolo finché i palestinesi non sono liberi, dice Yuval Abraham. In effetti, perché chi viene espropriato dai suoi legittimi averi dovrebbe accettare passivamente il fatto di vedersi cancellato dalla storia con un tratto di biro ? Perché i sionisti possono acquisire sempre nuovi territori in nome e per conto di una legge che si ritiene divina mentre i palestinesi che vivono in insediamenti urbani inopinabilmente storicizzati devono sentirsi come degli abitanti abusivi mal sopportati ? Perché sembra essere così difficile far passare l'idea, tanto semplice quanto intuitiva, che tutta questa ostinata e ostentata dimostrazione di forza non può che produrre la semina di rancori duri a morire ? 

Il film non produce risposte, ma alimenta quelle domande utili la cui necessità è direttamente figlia dell’urgenza di inziare a porsele. Come già scritto, il grande merito del film sta nell’accompagnare alla volontà di condurre l'obiettivo dentro la pura descrittività dei fatti la possibilità che dalla registrazionin presa diretta di quei fatti ne possano scaturire rischi seri per l'incolumità della persona. Ed è talmente portata al limite questa procedura testimoniale che, in un’interessante esercizio di metacinema, il film diventa anche un documentario su come Basel Juval (gli unici a fungere anche da "attori) hanno lavorato “sul campo” e fanno conoscere attraverso i diversi canali multimediali ciò che accade in Cisgiordania. 

Occorre dire che un altro aspetto interessante del film è la sua struttura stratificata. Infatti, in “No Other Land” si susseguono in una continua alternanza narrativa : la componente realistica catturata  dispositivi mobili dei registila cronaca giornalistica filtrata dai canali televisivi, l'impatto virale garantito dalle trasmissioni in rete dei filmati, l'impianto storico garantito dai filmati amatoriali e l'afflato emotivo garantito dal giusto impiego della messinscena.  Riguardo a quest'ultimo aspetto, a spiccare su tutti sono i momenti in cui Basel è Yuval, quasi ad ogni fine giornata è quasi come voler fare un resoconto esistenziale intimamente legato a quanto osservato, sembrano scavare dentro le rispettive coscienze per giungere insieme, pur partendo da esperienze e condizioni di vita differentialle stesse conclusioni sulle ingiuste condizioni patite dal popolo palestinese. Le uniche possibili, quelle che alla fine del film sembrano offrire a chiunque la certa attendibilità delle parole usate da Basel all'inizio di questo documentario : "Io ho iniziato a filmare quando la nostra fine stava arrivando".

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati