Regia di Miklós Jancsó vedi scheda film
Alcuni partigiani ungheresi si uniscono ai bolscevichi: un aspetto della guerra civile russa guardato con occhio distaccato e freddo dal regista ungherese Miklos Jancso.
La pellicola fu commissionata a Jancso dal ministero della cultura sovietico e da quello bulgaro, per esaltare la rivoluzione bolscevica. Si dice, però, che non furono contenti del risultato. Ciononostante, la pellicola uscì, benché con qualche taglio. Capire tuttavia il perché della non soddisfazione non è proprio immediato, specie per chi non è avvezzo ai canoni e alla retorica di quegli ambienti.
Il film non mette direttamente e specificamente i bolscevichi in luce negativa, ma ci offre semmai uno sguardo distante, asettico e disincantato sugli eventi rappresentati. È impossibile identificarsi con qualcuno dei personaggi; piuttosto si assiste perplessi e impotenti al gran numero di violenze e atrocità che vengono commesse da tutte le parti in lizza. I soldati zaristi vengono sì rappresentati con l'aggiunta di un atteggiamento sadico, ma questo, praticamente, è tutto. Varie volte si vedono rappresaglie, esecuzioni sommarie, violenze sui civili, e uccisioni a sangue freddo; minori sono invece le ferite in battaglia, come a suggerire che “l'indotto” di violenza di una guerra è molto consistente e colpisce alla cieca.
Un episodio che funge da giudizio negativo sulle numerose efferatezze che si vedono nella pellicola è quello delle infermiere di quell'ospedale di campagna, le quali curano i feriti di entrambi gli schieramenti senza guardare al colore della divisa. Ciò è inconcepibile per i soldati ancora illesi, che addirittura minacciano le ragazze di fucilazione se non avessero rinunciato a curare i soldati della parte avversa. Questi “permalosi” sono in questo caso i “bianchi”, a cui il regista fa assumere un modo di fare sadico: “sia gentile, si metta in piedi là”, cioè sul luogo della fucilazione... Questo ritratto assolutamente negativo dei soldati zaristi non spicca troppo, però, su quello dei soldati rivoluzionari. E questo è uno degli elementi che rendono sfumato e intersecato il quadro morale di quanto avviene nella pellicola. Secondo me, meritoriamente. Probabilmente, il regista, nel cuore, è pacifista, e ce lo fa intravvedere nel comportamento delle infermiere.
Al di là di queste pur inevitabili considerazioni, si tratta di un film molto ben girato, con uno stile secco e pulito, senza fronzoli, preciso. Jancso si serve di numerosi carrelli laterali (per filmare i cavalli in corsa), campi lunghi, inquadrature composte di più personaggi. Le scene violente avvengono fuori campo, o in campo lungo, il che, tuttavia, non ce le rende meno raccapriccianti. C'è qualche raro mezzo piano di qualche attore, per limitare l'identificazione dello spettatore. Solo la capo-infermiera viene inquadrata più a lungo e da vicino, probabilmente a motivo della bellezza dell'attrice. La recitazione degli attori è sobria e contenuta, in modo persino irrealistico in certi passi. Ma questo, in qualche modo, non è un limite, e si amalgama bene nell'insieme del film.
Miklos Jancso girò diversi film anche in Italia. E ancora una curiosità: nei panni dell'ufficiale zarista che difende la ragazza in procinto di essere violentata si riconosce un giovane Nikita Michalkov, attore e futuro regista di spicco del cinema russo.
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