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Woman of the Hour

Regia di Anna Kendrick vedi scheda film

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La recensione su Woman of the Hour

di barabbovich
7 stelle

Tra i Sessanta e i Settanta, Rodney Alcala (Zovatto, faccia giusta), serial killer dalla parlantina e dall'intelligenza sopra la media, assassinò un numero imprecisato di persone (si calcola 130, soprattutto donne), attirandole nella sua ragnatela di fotografie e illusioni. Avrebbe potuto farne le spese anche Cheryl (Kendrick, qui anche alla regia), la quale, ignara di tutto, lo incontrò nel 1978 durante la trasmissione Il gioco delle coppie.
Targato Netflix, il film dell'esordiente attrice e regista di Portland è ben congegnato e tiene alta la tensione: alterna quadri in cui il mostro adescava le ragazze per poi tramortirle (ma la violenza più efferata resta quasi sempre fuori campo) con la vicenda che si sviluppa negli studi televisivi. La storia funziona, i meccanismi psicologici sono ben oliati e la ricostruzione è priva di fronzoli. In più, il racconto si distende su linee temporali che rimbalzano avanti e indietro, mostrando come Alcala prosperi in un ambiente indulgente, tra pigrizie investigative e un sessismo ordinario che il film tratteggia con chiarezza. Kendrick evita la feticizzazione del "mostro" tipica del true crime e sceglie un punto di vista che, pur restando thriller, è anche racconto di formazione femminile: Cheryl, inizialmente incasellata nel copione sciocco cucito dagli autori, piega il gioco con ironia e intelligenza, ricordando quanto spesso, per uscirne vive, le donne siano costrette a recitare (vedi l'ottimo finale). Una lunga, angosciante camminata notturna in piano sequenza vale più di molti flashback sanguinosi; altrove, i commenti lascivi dei produttori e il cerone untuoso del conduttore (Tony Hale, perfetto) fissano l'aria del tempo, che somiglia fin troppo alla nostra. Se a tratti alcuni personaggi rischiano di restare tipi esemplari più che persone, il finale, costruito come un brivido asciutto e necessario, chiude il cerchio con intelligenza.

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