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Quattro mosche di velluto grigio

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Quattro mosche di velluto grigio

di Letiv88
7 stelle

Un thriller psicologico intenso e conclusivo della trilogia degli animali, dove suspense, paranoia e tocchi di ironia creano un’atmosfera avvolgente e inquietante.

Con 4 mosche di velluto grigio (1971), Dario Argento chiude la “trilogia degli animali” e lo fa con il film più oscuro, paranoico e visionario dei tre. Dopo l’esordio fulminante con L’uccello dalle piume di cristallo (1970) e il più ragionato Il gatto a nove code (1971), qui il regista spinge ancora più in là la sua estetica, mescolando giallo, atmosfere oniriche e un’ironia nera che anticipa le sue future sperimentazioni narrative e visive. Il film si muove tra tensione, surreale e grottesco, mostrando già un Argento pronto a rompere gli schemi del genere.

Roberto Tobias (Michael Brandon), batterista di una band, si accorge di essere pedinato da un misterioso sconosciuto. Dopo un incontro accidentale e una colluttazione, Roberto si trova coinvolto in un ricatto che lo trascina in una spirale di tensione crescente. La sua vita si trasforma in un incubo fatto di sospetti, alleanze inaspettate e figure ambigue. Accanto a lui ci sono la moglie Nina (Mimsy Farmer), enigmatica e sfuggente, e l’amico Diomede, detto “Dio” (Bud Spencer), personaggio sorprendente e malinconico che aggiunge un tocco di umanità e humor nero in situazioni altrimenti cupe. La storia evolve tra colpi di scena, inganni e sequenze quasi oniriche, costruendo un’atmosfera di paranoia costante senza rivelare mai tutto, e conducendo a un finale che ribalta le aspettative dello spettatore.

Argento dirige con mano sicura e audace, sfruttando inquadrature studiate per disorientare e aumentare la tensione. La fotografia di Franco Di Giacomo crea spazi freddi, claustrofobici e surreali, mentre il montaggio di Françoise Bonnot alterna momenti sospesi a scosse improvvise, mantenendo il ritmo sempre incalzante. Alcune sequenze, come il finale al rallentatore girato con cinepresa ad altissima velocità, mostrano la voglia del regista di sperimentare tecniche nuove e di rendere ogni dettaglio un’esperienza visiva intensa. Anche l’inserimento di piccoli momenti ironici, come il postino strabico o l’interazione tra personaggi secondari, dimostra la capacità di Argento di mescolare generi senza sminuire la suspense.

La sceneggiatura, scritta da Dario Argento con il contributo di Luigi Cozzi Mario Foglietti (non sempre accreditati ufficialmente), punta più sulla psicologia dei personaggi e sul senso di paranoia che sulla logica investigativa tradizionale. Colpi di scena calibrati e inganni continui rendono la narrazione imprevedibile, mentre temi come lo sguardo, la percezione, la manipolazione e la tossicità dei rapporti di coppia conferiscono profondità all’intreccio. Argento gioca con la prospettiva della vittima e introduce l’espediente pseudo-scientifico dell’immagine impressa sulla retina, che aggiunge una dimensione surreale e accentua l’atmosfera di inquietudine, anticipando il suo futuro interesse per un cinema più visionario.

Michael Brandon è Roberto Tobias, un batterista coinvolto in un incubo di paranoia e violenza. Mimsy Farmer è Nina, la moglie di Roberto, enigmatica e sospettosa. Jean-Pierre Marielle è l’investigatore privato ironico Gianni Arrosio, che contrasta la tensione crescente. Bud Spencer sorprende nel ruolo di Diomede, detto “Dio”, ruvido e diretto, capace di introdurre ironia e umanità inattesa in un contesto di tensione continua. Francine Racette è Dalia, la cugina di Nina, il cui coinvolgimento aggiunge ulteriori strati di mistero. Oreste Lionello appare come “Il Professore”, un clochard clownesco che porta stranezza e leggerezza tipiche dello stile di ArgentoGildo Di Marco interpreta il postino, personaggio comico già presente in L’uccello dalle piume di cristallo. L’interazione tra tutti i personaggi crea un equilibrio credibile e coinvolgente, dove la tensione resta al centro della storia.

Il film è stato girato in Techniscope e Technicolor, principalmente tra MilanoTorino e Roma, con alcune sequenze in Tunisia. Anche qui, come nei due film precedenti della trilogia, la colonna sonora è firmata da Ennio Morricone, con influenze rock e i vocalizzi disturbanti di Edda Dell’OrsoArgento aveva inizialmente pensato ai Deep Purple, ma motivi economici portarono alla scelta di Morricone. Per anni il film è stato difficile da trovare in home video per problemi di diritti, fino alle ristampe DVD/Blu-ray e al restauro 4K della Cineteca di Bologna.

Il titolo 4 mosche di velluto grigio nasce dall’idea dell’esperimento scientifico centrale nel film, che registra le immagini sulla retina della vittima. Le “quattro mosche” rappresentano le sagome sfocate che restano impresse nell’ultimo fotogramma sulla retina, mentre il “velluto grigio” evoca l’atmosfera cupa e ovattata che permea l’intera pellicola. È un titolo che sintetizza la tensione visiva e la paranoia che attraversano il film, senza svelare dettagli della trama.

È il capitolo più personale, oscuro e visionario della trilogia. Imperfetto e ambiguo, resta un film affascinante che trasporta lo spettatore in un mondo dove paranoia, inganno e percezione dominano ogni scena. La combinazione di regia audace, sceneggiatura psicologica, interpretazioni convincenti e musica incisiva lo rende un’opera imprescindibile per chi vuole capire le radici del cinema giallo e psicologico di Argento, nonché il suo passaggio verso un horror più visionario e sperimentale.

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Quattro mosche di velluto grigio (1971): Trailer ufficiale versione restaurata

 

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