Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Nel “coccodrillo” con cui Indro Montanelli rendeva omaggio all’amico Fellini, il giornalista toscano scrive: “Come regisa non mi azzardo a giudicarlo per totale incompetenza. Posso solo dire che ai miei gusti, probabilmente arcaici e provinciali, parla di più il primo Fellini, quello che va dai Vitelloni alla Dolce vita, che non quello che gli ha valso gliOscar e la palma di maestro su scala mondiale. Ma lo dico sottovoce consapevole che forse si tratta di una bestemmia.” In effetti con il crescente successo, e riconoscimento dalla critica, Fellini si sentì sempre più libero di abbandonare i canoni stilistici che potevano racchiuderlo in un eccellente regista che aveva sviluppato delle personali letture del neorealismo; personalmente, dato che condivido i gusti di Montanelli in tema, trovo ancora oggi superbo un film come Il bidone, mentre ho faticato sempre più a trovare godibili alcune opere che mi apparivano come dei vanitosi esercizi di stile che poteva permettersi un regista assurto ad un tale livello di riconoscimento quale genio del cinema che comunque la critica avrebbe lo stesso apprezzato. Intorno al 2000 Alberto Sordi ironizzava proprio sui tentativi dei critici nell’estrapolare un significato simbolico da ogni sequenza dei film di Fellini quando, a detta dello stesso regista, alcuni parallelisimi o riferimenti non se li era nemmeno immaginati. Con il suo Casanova al di là di una personalissima rivisitazione della figura dell’avventuriero, il risultato appare altrettanto farraginoso: con una volontà tutta felliniana di ricostruire un XVIII secolo esclusivamente in studio, coadiuvato da costumi sfarzosi ma in ambienti e situazioni sordide, Fellini porta in risalto una figura che effettivamente pone un senso di tragicità costretta ad una costante umiliazione rispetto alle proprie ambizioni. Difatti, pur ironizzate da una colonna sonora quasi psichedelica di Nino Rota, le prodezze amatorie di Casanova sono sostanzialmente considerate alla stregua di spettacoli di un fenomeno da baraccone che purtroppo oscurano ogni sua possibilità di nobilitarsi quale studioso, filosofo o letterato. Già il primo incontro con una suora, sotto l’occhio vigile di un ambasciatore, fino alla degradante gara di amplessi con il cocchiere Righetto, Casanova vede la propria figura sprofondare sempre più verso un utilizzo da fenomeno da baraccone. A questo proposito il regista stesso non si sottrae alla sua consueta, quasi morbosa, attenzione a figure anomale anche fisicamente, rispetto al panorama cinematografico. Gli ambienti frequentati da Casanova sono un sostanziale coacervo di freaks da quelli nel circo ambulante con la gigantessa che affascina il protagonista all’orgia che include una donna gobba. Fellini imposta tutti questi incontri come dei round puramente meccanici e privi di passione, tant’è che l’ultimo incontro sessuale sarà con una sorta di “donna meccanica”, azzerando quindi ogni concetto passionale. L’unica scena che forse sposta la lancetta verso un momento di commozione nell’ottica tradizionale è il (mancato) addio tra Casanova e la vecchia madre che poi apre al capitolo finale ove vediamo il protagonista ormai vecchio e sempre più umiliato. Sicuramente Fellini ebbe coraggio a sviluppare una vicenda che non richiama certo uno sviluppo appassionante. Da notare oltretutto che il film rischiò più e più volte di restare incompiuto soprattutto per i costi che continuavano a lievitare e con Fellini che ebbe a concluderlo sostanzialmente per rispettare il contratto con la produzione. Sutherland, fresco dell’agghiacciante parte in Novecento di Bertolucci anche qui si cimenta in una figura sostanzialmente costretta a degradarsi e altrettanto coraggiosa nell’allontanarsi da ruoli da “star”. Detto questo, come per altri film di Fellini mi pongo un quesito: saremmo indulgenti ed entusiasti allo stesso modo se certe pellicole fossero state firmate da altri registi, meno noti e meno blasonati, di fronte ad una messinscena di questo tipo?
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