Regia di William Friedkin vedi scheda film
Una storia vera, lontana ma non troppo
Terry L. Childers (Samuel L. Jackson), colonnello dei marines, è accusato di aver violato le regole del corpo sparando su una folla inerme in Yemen. Costretto ad affrontare un processo, chiama a difenderlo l'ex commilitone e amico Hayes Hodgers (Tommy Lee Jones). L'impresa si rivelerà ardua.
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Alla seconda visione, dopo anni dalla prima, il giudizio resta identico, anzi le cronache internazionali l’hanno avvalorato.
Stati Uniti e mondo arabo, nella fattispecie lo Yemen.
Premessa: ciò più che risalta nel film è l’esigenza americana di mantenere buoni rapporti con il mondo arabo, ora come allora la cosa non stupisce nessuno.
Friedkin si aggancia alla realtà, mette in campo storie e nomi veri, fa recitare mostri sacri della Hollywood che conta, ma a catturare lo spettatore e il suo sguardo critico è molto di più che un ripasso di storia americana. Tanto meno il pensiero va a quella indomabile tendenza di Hollywood a difendere ad ogni costo il ruolo di sentinella del pianeta che da troppi anni l’America si attribuisce. O meglio, ci va, ma restando fermi solo a quello si perde di vista il problema più ampio del potere esercitato a danno di uomini e popoli.
Friedekin sa quel che dice, è noto, mai avrebbe girato uno di quei soliti film dove male e bene vivono in campi ben separati. I suoi close up,le scelte di regia sono magistrali nel guidare lo spettatore ad andare oltre le apparenze, i dogmi dell’immagine, a farsi un’idea sua su quel che vede e si racconta.
Posto che il processo di autoassoluzione nel mistificare la realtà a proprio uso e consumo ormai scricchiola da più parti e non da ora, bisogna guardare la vicenda che si racconta nel film da due punti di vista: 1) dando retta a quello che dichiarò Friedkin all’epoca (il film non è anti-arabo, anti-musulmano o anti-yemenita, ma è anti-terrorismo. Il Re del Marocco ha approvato la sceneggiatura e gli arabi coinvolti nella produzione non lo hanno ritenuto offensivo.2) osservando con attenzione il perverso gioco delle parti che diplomazie e apparati istituzionali sono capaci di mettere in campo quando a loro conviene.
Liberiamo così il campo dalla solita e anche abusata accusa di propaganda ideologica pro-America, marines e quant’altro.
Se fosse stato negli intenti di Friedkin non sappiamo, crediamo di no, ma non importa.
La visione di un film del genere dimostra tanto altro, ed è quello che conta, il pensiero non va necessariamente all’America, anche se si svolge lì.
Sarà una coincidenza, ma su un canale parallelo (per l’esattezza Rai 5, che dio ce la conservi!) andava in onda quella sera un pezzo di storia del’900 che illustrava con chiarezza documentaria eccellente i traffici, i sotterfugi, le bugie, i deliri, le omissioni e manomissioni dei nomi celebri di allora, anni ‘34’39.
E poi anche le incertezze, le incapacità, le stupide e criminali sottovalutazioni che portarono l’Europa dritta dritta verso la guerra mondiale, la seconda, perché la prima non aveva insegnato niente.
E quando Churchill, uno dei pochi, se non l’unico dotato di sale in zucca, disse di Chamberlain che tornava tronfio a Londra: “…ne è uscito con disonore, andrà verso la guerra”, chi lo prese sul serio?
Regole d'onore (2000): Samuel L. Jackson
Regole d'onore (2000): Tommy Lee Jones
Dunque, perché questa digressione in epoche e mondi così lontani?
Perché le cose non cambiano, quello che il governo americano con la sua corte marziale mette in campo contro il comandante Terry L. Childers è uno spaccato di ciò che può accadere (e accade, in ogni emisfero) quando il gioco è in mano a chi non se lo lascerebbe mai sfuggire, costi quel che costi.
Potenti, li chiamiamo, qui possunt, dall’alba della storia del genere umano.
C’è il consigliere governativo che distrugge le prove (la videocassetta che scagionerebbe Terry perché riprende i manifestanti che sparano alla grande e sono stati ripresi dalla videocamera intatta sul terrazzo dell’ambasciata); l’ambasciatore pavido che sa ma non vuol perdere il posto, la sua fedele mogliettina che vuol continuare tranquilla a preparare merende ai bambini e perde una buona occasione di dimostrare pensiero autonomo; ci sono testimoni, forse spaventati, forse subornati, per cui meglio non scontentare i potenti; c’è perfino un comandante resuscitato dal Vietnam dove il Terry ha combattuto che con occhi terrei racconta uno di quegli edificanti episodi di guerriglia dove, da una parte e dall’altra, si moriva senza sapere perché.
E cosa volete dicesse dopo trenta anni in difesa del comandante americano un ex apostolo di Ho Chi Minh?
In Vietnam capitarono cose di moralità discutibile, dividere il male dal bene è operazione velleitaria che Friedkin non fa. Sull'etica in guerra, sullaricostruzione dei fatti sia a livello storico che cinematografico neanche i posteri emaneranno l’ardua sentenza.
E usare l’ex vietcong trent’anni dopo per incastrare il nostro colonnello Terry sarebbe ridicolo se non fosse tragico.
Regole d'onore (2000): Samuel L. Jackson
Stavolta però la giustizia trionfa, il colonnello viene assolto dall’accusa di aver ordinato di sparare sulla folla inerme di dimostranti yemeniti.
80 morti lasciati sul terreno, compresi bambini, fanno impressione. Ma pare non fossero inermi, sparavano volentieri, il ricordo del colonnello è chiaro e occupa vari flashback della sua memoria.
In fondo qualche marines sul tetto dell’ambasciata è pure morto.
E come poteva morire, se la folla era inerme? Gli hanno sparato i cecchini? Forse, ma il fedele funzionario governativo ha distrutto la videocassetta con i dimostranti giù in piazza ben armati.
Poi la zona è stata accuratamente ripulita dalle armi, sono rimasti solo i cadaveri di povera gente convinta e resa fanatica da potenti che hanno giocato sulle loro teste.
Per fortuna la giuria ha capito quel che c’era da capire e l’avvocato difensore è stato bravo.
Per fortuna a volte va bene.
Terry se ne va in pensione, ha deciso di dedicarsi alla pesca con l’amico avvocato, e questa è la verità più vera.
A lottare con i mulini a vento resti pure Don Chisciotte.
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