Come pochi Richard Fleischer è stato uno dei registi più propensi a spaziare da un genere all’altro con una disinvoltura eccezionale. Anche alle vicende relative ai serial killer si era già dedicato con Frenesia del delitto e Lo strangolatore di Boston. Gli anni ’70 permettono di spingersi ancor più verso un realismo molto duro e di sviluppare una vicenda dai toni pressochè documentaristici (il film si apre con una didascalia in cui viene evidenziato come persino i dialoghi sono stati ricostruiti, per quanto possibile fedelmente rispetto alla vicenda reale). Eccoci quindi in una Londra residenziale, periferica e terribilmente sordida degli anni ’40 del 900. Una storia che vede il suo protagonista in circa un decennio di orrenda attività cimentarsi in omicidi efferati. Dietro un’aria falsamente remissiva e placida John Reginald Christie (R. Attenborough) è un maniaco che sfoga la propria impotenza su delle donne che circuisce con scuse mediche per poi stordirle usando un apparecchio di sua invenzione che sfrutta il gas domestico ed infine strangolarle e violentarle. La vicenda si concentra però sull’omicidio che Christie perpetra ai danni di una giovane coppia, composta da Timothy John Evans e dalla moglie Beryl, che ha preso in affitto un appartamento nello stabile di sua proprietà: ingenui ed ignoranti, nonché poverissimi, i due ragazzi insieme alla figlioletta, cadranno nelle grinfie di Christie a causa della necessità di interrompere una seconda gravidanza. Fingendosi nuovamente un ex medico, disponibile ad effettuare un intervento gratuito per l’aborto, Christie avvia il suo diabolico piano che porta alla morte della donna, attribuendola all’intervento. Sfruttando la dabbenaggine del giovane marito, sconvolto dall’apprendere della morte della consorte e terrorizzato, dallo stesso Christie, circa le responsabilità di fronte alla legge per quanto riguarda la complicità nell’interruzione della gravidanza, Christie convince l’uomo a fuggire di casa garantendogli di occuparsi lui di far sparire il cadavere della moglie, procurargli un’alibi e incaricandosi di far custodire la figlia da una coppia di conoscenti. Subito dopo assistiamo alla sequenza ancora più sconvolgente, con Christie che una volta allontanato l’uomo da casa si avvia verso la stanza della bambina con una cravatta tra le mani. Le testimonianze contraddittorie di Timothy non fanno che aggravare la sua posizione, tant’è che all’inizio lui stesso si accusa dell’omicidio della moglie, per poi scoprire invece della morte, non per un’operazione abortiva, e soprattutto scoprire anche dell’assassinio di sua figlia, per cui inizia ad accusare Christie. Nonostante tra i magistrati alberghi la sensazione di una responsabilità di Christie il destino di Timothy è segnato e lo vedrà condannato all’impiccagione. Passeranno anni, e altre vittime, prima che emerga la verità che andrà ad inchiodare ed infine condannare Christie. Come detto, il tono documentaristico non lascia davvero spazio ad ogni empatia verso il personaggio, anzi ne acuisce lo squallore oltre che la spietatezza (sebbene sia evidente la follia mentale del soggetto). Inoltre Fleischer, in uno stile antispettacolare, non lascia nemmeno spazio a mostrare la condanna dell’uomo, piuttosto che ottenere delle spiegazioni da parte sua, insommanon vi è una confessione alla M-Il mostro di Dusseldorf ove in qualche modo si partecipa alla tragedia di un uomo malato, sebbene totalmente esecrabile. Eccellente altresì la messinscena in una periferia londinese fatta di squallidi alloggi, sporcizia, personaggi viscidi che difficilmente si dimenticano. Eccellente prova di Richard Attenborough che si cimenta in un personaggio di rara laidezza e disgusto.
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