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Se mi vuoi bene

Regia di Fausto Brizzi vedi scheda film

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La recensione su Se mi vuoi bene

di Souther78
10 stelle

Film magnifico, lontano da clichè, stereotipi e forzature caratteristici dell'80% del cinema contemporaneo, e, per questo, inviso a chi alla manipolazione mediatica è oramai assuefatto. Da vedere e apprezzare, ma altresì da capire e cogliere nelle più sottili sfumature. Cast d'eccezione e in stato di grazia, al pari della regia.

 
Entrare, ma anche uscire, dalle vite degli altri, non è affatto semplice: spesso vediamo noi stessi in quelli che ci circondano, nel bene e nel male. Capire qualcun altro da sè significa capire anche se stessi, il che sta diventando sempre più complicato: il lavoro, le distrazioni, l’inseguimento di obiettivi personali che spesso neppure ci appartengono finiscono per distoglierci dalla conoscenza più elementare di ciò che ci alberga dentro. Avere l’ardire di interpretare i pensieri e sentimenti altrui, dimentichi del socratico monito “conosci te stesso”, è un po’ come andare in prigione senza passare dal via a Monopoli, però al contrario. Come Biagio Antonacci esprime in quella strofa: “regalare con la testa e non comprare”, già, perché entrare in un negozio (o magari addirittura sfogliare un sito Web) e spendere dei soldi lo può fare chiunque, ma soltanto chi tiene veramente a noi e al desiderio di consegnarci parte di sé può davvero “fare”.

Frasi come “ti amo”, oppure “ti voglio bene” assumono nel nostro immaginario la forma il contenuto che apprendiamo da quelli che ci circondano, e, magari, ancor di più da ciò che assorbiamo da cinema e televisione.

 

Brizzi ci ammonisce, con quest’opera leggera e delicata, che perfino quando ci mettiamo in testa di fare qualcosa di buono per gli altri, non è poi così semplice riuscirci davvero, poiché prima di agire occorre capire. Tra quelli che semplicemente si chiudono nel proprio egoismo, e chi, per contro, magari in preda alla sindrome da crocerossina, ci crede davvero di poter migliorare le vite degli altri, è facile cogliere un vizio di fondo, mentre molto più difficile è imparare a camminare in punta di piedi, e con le braccia aperte, su quella sottile corda sospesa tra l’indifferenza e l’interferenza nelle vite altrui.

 

Un sublime Claudio Bisio dona forma al personaggio uscito dalla penna del regista/autore, cui va un plauso per aver saputo tratteggiare e affrontare argomenti esistenziali a più livelli, senza mai scadere nel tedio e senza nulla concedere al melodramma.

Le storie dei comprimari si intersecano con quella del protagonista, senza soluzione di continuità narrativa e senza forzature, con ritmo impeccabile, dialoghi all’occorrenza serrati, ma altrettanto opportunamente dilatati e rallentati nelle situazioni chiave.

Se Bisio dona al suo personaggio verve e acume, ma anche tanta umanità, non da meno i suoi colleghi, a partire da un pacato Sergio Rubini, qui esaltato nel suo personaggio da una mano registica attenta. Sempre bravissima Lucia Ocone, che non fa eccezione in questo caso, nel dare sfoggio delle sue capacità attoriali, dal serio al faceto.

 

Il racconto sembrerebbe ispirarsi alle avventure televisive viste in My Name Is Earl, ma lo spessore umano nel Belpaese si fa sentire, mentre, pur rimanendo nel territorio della commedia, il livello e la complessità delle riflessioni vanno ben oltre.

Perfino l’ambientazione torinese risulta azzeccata, uscendo dai soliti cliché dei set romani o milanesi: un tributo al regista anche per aver saputo selezionare pochi luoghi, ispirati e ispiranti, in una città che perlopiù si presenta fredda, grigia, trafficata, e in larga parte degradata.

 

Parte bene e riesce a mantenere tutte le promesse e anche di più; inoltre questa commedia, come è sempre più raro, si astiene dal presentare messaggi di fondo manipolatori o strumentali, dall’inserire personaggi o situazioni ammiccanti a questa o a quella ideologia, e non fa alcun ricorso a volgarità gratuite. In particolare apprezziamo il fatto che ci si fermi sempre un attimo prima di scadere nel triviale o nel volgare, pur “sfiorando” situazioni di ogni tipo, e senza rinunciare a crearci attorno una sana ironia.

 

Un pensiero non si può non rivolgere a chi denigra questo film, oppure non riesce a vederci nulla di buono: ci viene da affermare che chi vi ha visto superficialità è probabilmente a sua volta troppo superficiale per coglierne l’effettivo spessore. Non è da tutti portare in scena, tanto più in una commedia anziché in un film drammatico, sentimenti e relazioni umane, conducendo lo spettatore a riflettere non soltanto sull’importanza dei rapporti, ma anche e soprattutto sul corretto metodo di porsi nei confronti del prossimo. Probabilmente molti dei detrattori dell’opera non si sono neppure mai soffermati sull’approccio “da salvatore” che spinge tante persone a ritenersi in diritto, o perfino in dovere, di aiutare gli altri o di indirizzarli.

 

Certo è che non si può non sentire qualcosa spezzarsi dentro, osservando il punteggio attribuito a questo film, paragonandolo magari a quella schifezza propagandistica della Cortellesi, intitolata c’è ancora domani (minuscolo deliberato, per corrispondere al livello dell’opera). Quelli che considerano di spessore quella volgare propaganda filo-massonica, ergendosi invece a cinici ed eruditi critici del film di Brizzi, sono forse gli stessi che si sentono intelligenti denigrando gli elettori leghisti, mentre sono così ignoranti e ottusi da non essersi neppure accorti che i governi (e in questo l’Italia è uno dei migliori esempi mondiali) sono soltanto finzione e illusione, per gettare fumo negli occhi mentre chi governa veramente detta le regole, con il risultato che, governi la destra oppure la sinistra, il regime e la direzione generale non cambiano di un millimetro. Questi soggetti sono lo specchio dei nostri tempi: quelli che gridano al complottista, che è colui il quale osa mettere in discussione i governi e le autorità, mentre queste ultime convincono il popolino a ritenere per definizione incivile, stupito e ignorate, chiunque… contesti l'autorità. Sono, forse, quelli che si mettevano orgogliosi in fila per fare i tamponi, mentre sia chi aveva inventato il test che chi li produceva affermava che non fossero strumenti di diagnosi. Sono, forse, quelli che correvano a pubblicare i selfie sui propri canali social, orgogliosi di essersi iniettati veleni, mentre gli stessi produttori ammettevano che quei veleni non avrebbero prevenuto alcun contagio. Sono quelli incapaci perfino di aprire Google e digitare “*nome società* shareholders”, per realizzare che da Enel alle Poste, da Google a Microsoft, da Amazon a Ford, da Apple a Garmin, da…. a…. compaiono sempre Blackrock e Vanguard. Sono, insomma, quelli talmente superficiali da non accorgersi che un paio di corporation (che si possiedono a vicenda) controllino già 1/3 del denaro di tutto il mondo, oppure talmente superficiali o ingenui da non poter credere che questi “poteri forti” controllino e influenzino il mondo, ma, anzi, si sentono pure svegli nel chiamare “complottisti” quelli che usano l’espressione “poteri forti”.

 

A un mondo di cinici, arroganti e presuntuosi, che etichettano opere come questa di banalità, preferiremmo di gran lunga mondo di persone sveglie e consapevoli abbastanza da capire il pregio e il valore di ciò che qui è stato decantato, cioè l'importanza dell'ascolto, della comprensione, dell'esserci.

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