Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
L’ambientazione western nel 1972 non era cosa certo nuova per Sergio Corbucci il quale, bisogna riconoscerglielo, ha diretto alcuni tra i più bei spaghetti western al di fuori di Sergio Leone, o ha addirittura elaborato il suo modello in una modalità ancor più vivida e pessimista (basti pensare a Il grande silenzio). Con Che c’entriamo noi con la rivoluzione? Corbucci sembra accodarsi invece al momento più politicizzato del nostro cinema, che utilizzò appunto miriadi di sceneggiature, dal giallo alla commedia passando pertanto anche dal western, a tentare di imporsi quali “manifesti” di critica al potere, di denuncia sull’oppressione dei più deboli e, più generalmente, un po’ speculando con le agitazioni politiche dell’epoca, di attualizzare eventi o vicende lontane nel tempo o nel contesto geografico, ponendole come modello di critica nei confronti della realtà del momento. Dunque questa premessa, sebbene già sfruttata da Leone con il suo Giù la testa, già indebolisce un soggetto che mischia toni farseschi (soprattutto nella prima parte) a quelli più cupi della seconda parte che evolve, un po’ come nei classici road movie, con una presa di coscienza dei protagonisti che, estranei al mondo che li circonda, prendono coscienza delle ragioni dei più deboli sino a diventarne sostenitori e persino sacrificarsi per la causa. Parecchi debiti con film più nobili, viene in mente in parte La grande Guerra di Monicelli o La marcia su Roma di Risi. I due protagonisti sebbene affiatati e peraltro caratterizzati da una sincera amicizia anche fuori dal set si cimentano in ruoli che, soprattutto per Villaggio il quale era ancora agli albori nel cinema ed in un ruolo pre-Fantozzi, propongono dei personaggi dalle caratteristiche piuttosto telecomandate: istrionico Gassman, che urla, corre, si agita e si contorce tra citazioni di Shakespeare e battute romane mentre Villaggio spinge l’acceleratore sul tragicomico confinandosi in quel personaggio che sembra attirarsi solo guai, che lo avrebbe “imprigionato” per tutta la carriera. Detto questo alcune sequenze sono complessivamente divertenti tra costanti ribaltamenti di situaizoni e un ritmo un po slapstick che quindi intrattiene per la durata del film. Simpatica colonna sonora di Morricone e utilizzo qua e là di bei pezzi di musica classica come l’opera I puritani che apre il film.
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