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La terza generazione

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su La terza generazione

di Qualcunocheadorailcinema
9 stelle

In Germania, alla fine degli anni Settanta, un industriale corrompe un funzionario di polizia per incrementare le vendite di un nuovo tipo di computer, in grado di individuare e catalogare i giovani eversori politici. 

 

 

L'apologia antiborghese per definizione: non concede scampo. Fassbinder scandaglia la violenza politica con uno sguardo glaciale, chirurgico, privo di ogni romanticismo o retorica, e mette in scena una gioventù che si dibatte tra ideali ormai svuotati e pulsioni autodistruttive. La macchina da presa osserva con distacco, quasi con crudeltà, la progressiva dissoluzione di un gruppo incapace di trasformare la ribellione in azione reale, di dare sostanza concreta a una rabbia che rimane cieca e caotica. In questo senso, l’opera non è soltanto una riflessione sulla lotta armata o sul terrorismo tedesco degli anni '70, ma un vero e proprio manifesto sul fallimento delle ideologie quando si staccano dalla realtà materiale.

 

Ogni inquadratura, ogni gesto dei personaggi vibra di tensione, di alienazione, di un senso di vuoto che sembra non lasciare spiragli. Fassbinder non giudica, ma neanche assolve: mostra piuttosto un microcosmo di giovani che si muovono come marionette senza direzione, sospesi in un limbo esistenziale in cui la violenza diventa l’unico linguaggio rimasto, l’ultima illusione di significato. La precisione della messa in scena, il ritmo incalzante eppure claustrofobico, costruiscono un noir feroce, lucido, che scava dentro e non lascia respirare. L’umorismo nero che attraversa certe situazioni non alleggerisce la tensione, ma anzi la rende ancora più disturbante, perché rivela l’assurdità di un mondo che ha perso ogni logica.

 

La società tedesca ritratta è sospesa tra benessere borghese e angoscia politica, tra ideali traditi e cinismo capitalista. In questo terreno ambiguo, Fassbinder coglie la disperazione di chi non trova più un posto, e sceglie la violenza come rifugio. Il risultato è un’opera disturbante e corrosiva, che ancora oggi conserva intatta la sua forza, restituendo con spietata lucidità il volto di una generazione perduta, intrappolata tra utopia e autodistruzione.

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