Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
C’è un lungo momento, quando nella notte tutti non aspettano altro che l’arrivo di Max Cady, mentre la cinepresa si sofferma sul volto granitico dell’investigatore, sui nervi a fior di pelle dell’avvocato, sugli occhi impetuosamente labili di una figlia adolescente, su un orso di peluche immobile fino all’esasperazione, mentre regnano sovrani incontrastati il silenzio e la tensione, che si avverte più che mai la sua presenza.
Max Cady è un’ombra che si stende su ogni lembo di pellicola; è negli interstizi fra il sonno e la veglia, nel limbo tempestato di colori al negativo degli occhi appena aperti, è al posto della figura più familiare, delle persone più comuni che s’incontrano al cinema e per strada, inciso nella pelle delle sue vittime come i tatuaggi sono scolpiti nella sua. E Robert De Niro è più che una presenza, ancora più che un demone diabolico risorto dalle tenebre per consumare la sua vendetta, è un uomo “già morto” in cui si intravede persino la sofferenza rabbiosa, è un fantasma maledetto in preda alla follia di una personale giustizia di cui trova rimandi nella Bibbia, un incubo di carne fino alla fine sbircia tra le acque tumultuose il suo nemico.
Insieme alla potente regia di Scorsese, insomma, la prova di De Niro, fremente di violenta tensione che serpeggia fino all’ultimo minuto – purché il finale sia tirato troppo in lungo (evidentemente gli psicopatici del cinema sono duri a morire, vedi anche Ore 10: calma piatta o Attrazione fatale, tanto per fare un paio di esempi) – vale decisamente la visione, assieme a quella del resto del cast (prima fra tutti Jessica Lange, nell’attimo in cui la voce le si spezza in gola).
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