Nel bianco e nero con cui Denis Villeneuve - alla terza e ultima prova esclusivamente canadese - ricostruisce la tragedia del 6 dicembre 1989 all’École Polytechnique di Montréal sta l’unico punto di partenza d’analisi possibile. È lo strumento iconografico che rende conto di un distacco necessario, rispettoso e storicizzante con cui affrontare quel giorno di ordinaria follia, quando uno studente uccise 14 ragazze della sua scuola per poi togliersi la vita. Nel bianco e nero, nelle riprese in steadycam interrotte su percorsi singoli mai restituiti per intero e nella geometrica composizione del quadro risiede lo scarto significante da un titolo come Elephant, equivalente statunitense per oggetto drammaturgico, ma non per referente di sguardo.

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Polytechnique (2009) scena

Se lo stragismo a stelle e strisce, al cinema, diventava nel 2003 materia per una lirica del pedinamento e della ricostruzione artefatta di qualcosa che, altrimenti, sarebbe stato irraccontabile, in Canada la questione estetica è un po’ diversa. Qui il massacro è questione di silenzio, tra la muta neve che nei dettagli e in campo lungo incornicia l’isolamento inanimato (l’edificio come nucleo nel vuoto contestuale) e rumori di fondo bianchi, quasi volatili, ad accompagnare lo sguardo nei frammenti di isolamenti animati che procedono in linea cronologica retta o anticipano il sangue (nel prologo), o ancora tornano a far male nella terza parte dedicata ai postumi. L’isolamento, ecco la chiave per comprendere lo sguardo e il soggetto di Villeneuve, che in una lezione universitaria inserisce la spiegazione del principio di entropia: il trasferimento di energia e trasformazione di stato di una sostanza sottoposta a pressione è sempre facilitato dalla condizione di isolamento.

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Polytechnique (2009) scena

Se tale condizione è il punto di partenza esistenziale dell’assassino (riformato per il servizio di leva poiché riconosciuto come sociopatico), la pressione atta a stimolare l’entropia viene dal fuoricampo (e dal fuoritempo): il killer odia le giovani femministe che gli hanno rovinato la vita, poiché «si aggrappano ai vantaggi dell’essere donna, come i costi più bassi dell’assicurazione, il congedo per la maternità o quello parentale, e allo stesso tempo rivendicano per loro quelli degli uomini». Polytechnique diventa così un viaggio grammaticalmente neutrale - ma sottilmente partecipe - alla radice dell’odio sociale, dell’estremismo reazionario di fronte alle fisiologiche imperfezioni di scarti evolutivi percepiti come soprusi. Villeneuve adotta l’unico approccio possibile per un uomo canadese, elaborando un testo filmico di immediata chiarezza e di profondità abissale, senza perdere mai di vista la coerenza del proprio linguaggio.

Autore

Giulio Sangiorgio

Dirige Film Tv, co-dirige I mille occhi di Trieste, programma cinema, festival, rassegne, insegna (alla Iulm), sviluppa (progetti di film di giovani registi, per Milano Film Network), e, soprattutto, sopporta. Sopporta tantissimo.

Il film

locandina Polytechnique

Polytechnique

Giallo - Canada 2009 - durata 76’

Titolo originale: Polytechnique

Regia: Denis Villeneuve

Con Maxim Gaudette, Sébastien Huberdeau, Karine Vanasse, Evelyne Brochu, Pierre-Yves Cardinal, Jonathan Dubsky

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