E ora, qualcosa di (quasi) completamente diverso. Ovvero una miniserie anime che mantiene tutti i pregi del linguaggio – una narrativa high concept unita allo sviluppo dei personaggi, un rapporto salutare con i generi e la ricerca di unicità estetica – ma occupa solamente lo spazio di cinque episodi, densi il giusto e senza abuso di didascalismi per riempire i vuoti di lore e world building. Scusate tutti gli inglesismi, ma se avessimo dovuto utilizzare le parafrasi in italiano avremmo già finito lo spazio.

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Vampire in the Garden

Vampire in the Garden è un anime originale prodotto da Netflix nell’ottica del suo piano di conquista di qualsivoglia nicchia di mercato a livello globale, dalle telenovelas colombiane al k-drama, passando per Black Mirror e il true crime. Anche con l’animazione giapponese, c’è da dire che Netflix ha spesso avuto il buon gusto di non dimostrare tracotanza, affidandosi a gente che sa il fatto suo. In questo caso, la commissione è andata ai satrapi di Wit Studio, già responsabili di animazioni di enorme successo come L’attacco dei giganti, Vinland Saga e Ranking of Kings. Il risultato è piuttosto evidente: anche grazie all’impegno produttivo più contenuto, il lavoro sugli sfondi (specialmente) e sul character design è sensibilmente al di sopra della media.

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Vampire in the Garden

Quello di Vampire in the Garden è un mondo che ci viene presentato come già alla deriva. Anzi. Proprio sull’orlo di un precipizio di estinzione. Dice la premessa che, un inverno di molti anni prima, all’improvviso apparvero i vampiri portando con sé una nuova piaga. Il sangue abbondava tanto quanto abbondavano i mortali, e i vampiri riuscirono a moltiplicarsi a dismisura e a velocità incontrollata. Gli umani non poterono nulla contro la loro forza immortale: comunità intere vennero sterminate senza alcuna pietà costringendo i non infetti a rinchiudersi in un ghetto isolato e militarizzato – una piccola città protetta da un muro di luce – con la speranza di riuscire a difendersi e tornare a espandersi un poco per volta. I vampiri si nascondevano nell’ombra, invisibili agli occhi dei sopravvissuti, che per eludere i loro sviluppatissimi sensi vietarono la musica e ogni parvenza di cultura conosciuta e sviluppata nei secoli precedenti, condannando l’umanità al silenzio e, soprattutto, alla miseria spirituale. Il clima nella città dei sopravvissuti è comprensibilmente teso, per usare un eufemismo; in realtà siamo più dalle parti della tirannia militare, in cui ogni cittadino è tenuto a compiere il proprio dovere di sterminatore di vampiri di giorno, con un doppio turno da operaio specializzato di notte. Certo, c’è da dire che qui c’è in palio la sopravvivenza della specie e non il profitto di un padrone. Ma i metodi umilianti applicati al nobile obiettivo sembrano comunque leggermente più sadici del necessario.

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Vampire in the Garden

Momo, soldatessa operaia numero 10687, lavora sodo come tutti gli altri ma è comunque la figlia della generalessa a capo delle truppe della città. Non è di certo destinata a faticare ancora a lungo nella catena di montaggio dello smaltimento rifiuti, anche se a lei non dispiace il lavoro manuale. Ha studiato all’accademia militare, e nonostante abbia esitato a sparare a una vampira bambina durante la sua ultima trasferta di disinfestazione succhiasangue, comunque avrà il privilegio di essere impiegata nell’alto segretariato come burocrate, anche se questo significa non frequentare più la sua migliore amica più che amica Milena. Nella vita di Momo, a miseria continua ad aggiungersi ulteriore miseria. Non vuole essere un’assassina, né ci tiene a essere trattata come una privilegiata e soffre in silenzio ascoltando di nascosto la musica proibita del carillon che ha riportato in città dopo la sua ultima missione. Rampognata dalla madre per l’eccessiva sensibilità che dimostra, Momo decide di scappare proprio la sera in cui i vampiri hanno organizzato l’attacco definitivo all’ultima roccaforte umana.

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Vampire in the Garden

Dall’altro lato della barricata ci sono i vampiri, che non si negano trasformazioni in potentissimi ibridi pipistrelleschi in grado di tenere testa a interi commando di militari armati fino ai denti, alla faccia di Vlad e dei contadini incazzati con i forconi, le torce e i paletti di frassino. Paradossalmente, i non-morti sono più simili ai loro nemici giurati di quanto non vorrebbero ammettere: per entrambi, il fine ultimo di chi è al comando è il totale annichilimento del nemico. I vampiri, però, hanno tutto lo spazio e le risorse del mondo e se la spassano ogni sera come se fossero a corte di Luigi XVI e la ghigliottina non fosse ancora stata inventata. L’unica a non godersela è la regina Fine, che mostra ai sudditi il suo lato più brillante e ottimista, ma in realtà sta cercando di rinunciare al sangue, memore di un’umana con cui in passato era riuscita a stringere un rapporto di affetto, e consapevole che il gioco al massacro in cui il mondo è coinvolto non porterà a nulla di buono. Siete scaltri, e avete già capito che la parabola di Vampire in the Garden porterà le strade di Momo e Fine a incrociarsi. Posso assicurarvi, tuttavia, che il vostro cauto ottimismo su un possibile lieto fine dovrà fare i conti con il pragmatismo giapponese.

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Vampire in the Garden

Non so quanto corretto sia fare del sessismo in positivo. Eppure sembra coerente che una storia del genere – ovvero la disperata ricerca di bellezza in un mondo in cui in pochissimi cercano ancora di rimanere aggrappati agli ultimi scampoli di umanità in circolazione – sia quasi del tutto al femminile. Non è una regola, e non mancano donne che da una parte e dall’altra del fronte di guerra difendono il loro istinto di sterminare ciò che è diverso e mette in pericolo la sopravvivenza della loro comunità. Ma il fatto che quei personaggi che tentano di andare oltre la distruzione siano femminili è un dettaglio prezioso. Giusto perché, nella vita reale, non è ancora capitato di fare un tentativo in tal senso. E sognare, ormai, è una delle poche cose belle che ci siano rimaste.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per Film Tv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.